Capitolo 23

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Attenzione: Nel seguente capitolo sono presenti riferimenti espliciti ai disturbi mentali e nello specifico al DOC (Disturbo Ossessivo Compulsivo) che potrebbero non essere adatti per alcuni di voi.

Spalanco le palpebre stordito. Il suono della sveglia sul telefonino mi getta nuovamente nella realtà.
Spengo l'allarme e fisso lo schermo.
Michè, come sta tuo padre?
Posso tranquillamente immaginare quanto quelle parole all'apparenza banali, celino tutta l'apprensione che sta affliggendo Federico e probabilmente anche Marta.
Purtroppo non si è ancora svegliato.
Cazzo... e tu come stai?
Resisto.
Sei hai bisogno, scrivici. Per qualsiasi cosa noi ci siamo.
Sì, lo so.

Lana mi osserva intontita quasi quanto me. Le do una grattatina vicino alle orecchie e inizio a prepararmi. Prima di tornare in ospedale la porterò a fare un giro nei dintorni.

Ha smesso di piovere, ma il cielo sembra minacciare un secondo tempo ancora più bagnato del primo.
Lana passeggia al mio fianco tranquilla, almeno lei.
La via e il marciapiede sono quasi deserti. Le persone lavorano, indaffarate nelle loro vite che scorrono, alcune velocemente, altre lentamente e altre ancora a un ritmo indefinito, forse più libero e autentico.
Quella di papà invece è un'esistenza sospesa, silenziosa, in bilico sull'incertezza.

Mi sembra di ritornare a qualche anno fa, a quando attraversavo questo quartiere con la cagnolina così piccola che il collare le sbatacchiava sul collo sottile mentre scalpitava eccitata dagli odori e dalla vita curiosa che la circondavano.
In quel periodo stavo già pensando di trasferirmi. Con Federico non perdevamo occasione per discuterne. Magari era soltanto il sogno glorioso di due adolescenti un po' cresciuti, ma per noi era importante, per noi è importante.
Così importante per me da affrontare le mie paure, da allontanarmi dalle persone a cui voglio bene. 
Così importante da cambiare vita.
Fisso le nuvole, chiudo gli occhi, faccio entrare nei polmoni più aria possibile.

"Resta in Italia o tuo padre muore."

È di nuovo qui.

"Non tornare a Londra o tuo padre muore."

Ha modificato la formula, ma la maledizione è sempre la stessa.

"Non tornare a Londra o tuo padre muore."

E se questa volta avesse ragione?

"Resta in Italia o tuo padre muore."

Il suono di un clacson mi fa aprire gli occhi di scatto.
Sono immobile in mezzo alla carreggiata, non so nemmeno come ci sia arrivato. Mi scuso con il guidatore con un gesto della mano appena accennato.
È meglio rientrare a casa.

Nella camera dei miei genitori l'aria sembra più pulita, più leggera.
Il lato del letto dove riposa mio padre porta i segni sgualciti della sua presenza che continua a non valicare mai la parte dove invece dormiva mia madre.
Dall'armadio recupero un piccolo borsone dove preparo qualche cambio pulito per papà e tutto il necessario per la sua permanenza in ospedale, per quando si sveglierà... perché lui si sveglierà... 
La sua felpa azzurra mi fissa dalla testiera del letto, spontaneamente avvicino il viso al tessuto che tengo tra le mani, il suo profumo di caffè mi scalda il petto. Piego l'indumento all'interno della borsa asciugandomi una lacrima con il dorso della mano.

Butto giù un boccone e mi preparo per raggiungere l'ospedale. Il mio cervello continua a brontolare lo stesso mantra in una sorta di spiacevole cantilena. Preparo le ciotole del cibo e dell'acqua di Lana, la saluto e vado in garage.
Salgo in auto e mi guardo intorno in attesa che i ricordi facciano il loro corso: la prima guida con papà, l'auto che continuava a spegnersi, le mie sbuffate, le nostre risate.
Appoggio la testa sul sedile, stendo le gambe come posso e ricaccio indietro le lacrime.

Il cellulare vibra nella tasca dei pantaloni. Vorrei ignorarne il motivo ancora per qualche minuto, soprattutto perché so che difficilmente si tratta di un messaggio di Leo, ma non lo faccio.
Fisso il display e il mio cuore perde un battito.

Fisso il display e il mio cuore perde un battito

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Mal di gioia - Parte 2Where stories live. Discover now