Capitolo 28

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Attenzione: Nel seguente capitolo sono presenti riferimenti espliciti ai disturbi mentali e nello specifico al DOC (Disturbo Ossessivo Compulsivo) che potrebbero non essere adatti per alcuni di voi.

Rientro a casa dopo una passeggiata con Leo e Lana. La cagnolina si dirige subito tra le braccia di Elisa che si sta preparando per andare al lavoro.
"E Leonardo? Pensavo cenasse con noi."
"L'ho accompagnato a casa, sta cercando di tenere a bada i suoi."
"Dopo la scenata che hanno fatto a papà, ci credo."
"Già..."
"Possono dire qualsiasi cosa, Leo è maggiorenne e liberissimo di fare ciò che gli pare."
"Assolutamente sì."
"Se solo ci fossi stata io l'altra sera..."
"Aiuto" mormoro stringendo i denti.
"Esatto."
"Mi chiedo da chi tu abbia preso questa tua sfumatura così pacata e ragionevole."
"Da mamma ovviamente! Ti ricordi le sue occhiate inceneritrici?"
"Potrei mai dimenticarle?"
Elisa ridacchia assieme a me, si alza in piedi allontanandosi da Lana e muove qualche passo nella mia direzione.
"Allora dopodomani parti, anzi, partite..."
Annuisco abbassando lo sguardo.
"E come ti senti?"
Sospiro ricacciando indietro il frastuono nella mia testa. Lei sa che c'è qualcosa che non va, mi conosce troppo bene. E sa anche la risposta che sto per dargli.
"Abbastanza bene."
"Abbastanza?"
"Abbastanza."
Non è soddisfatta, ma si accontenterà senza costringermi a parlare, la conosco troppo bene. E so anche la risposta che sta per darmi.
"Ok."
Mi abbraccia con un rapido bacio sulla guancia.
"Vado al lavoro, ci vediamo dopo."
"A stasera."

Dalla porta socchiusa della camera dei miei vedo mio padre seduto sul letto sfogliare le foto dell'album del suo matrimonio. Quell'oggetto che osserva a cadenza regolare, da quando mamma non c'è più, prendendosi tutto il tempo che ritiene necessario.
"In My Time" degli Europe, 'la loro canzone', suona dolcemente attraverso lo stereo, avvolgendolo come una coperta calda.
Lana, al suo fianco, sonnecchia tranquilla. Distolgo lo sguardo velato di lacrime con il cuore dolorante e ritorno nella mia stanza.

Il tasto "Acquista" mi fissa di nuovo e io fisso lui. Il pollice sospeso su quell'icona che inizio a non sopportare più.
Perché è così difficile questa volta?
Perché gli sto dando troppe attenzioni, ovviamente.
E perché gli sto dando troppe attenzioni?
Perché so che è un pensiero poco sensato, mi infastidisce e mi piacerebbe cambiarlo.
E poi?
Perché vorrei avere il controllo su qualcosa che non si può controllare.
E poi?
Perché... perché...
Dillo, rendilo palese.
"Perché ho paura."
Il mio sussurro percorre lo sterno e rimbomba nella pancia come un brivido freddo.
C'è una remota possibilità che si verifichi il contenuto di ciò che mi sta ossessionando. Difficilmente la motivazione sarebbe l'acquisto dei biglietti per l'Inghilterra, ma sì, papà potrebbe avere una ricaduta e potrebbe morire. Magari non adesso, non domani, non tra una settimana o tra un mese, ma potrebbe accadere. E se succedesse io lo so, lo so che involontariamente collegherei l'evento alla mia scelta, che mi darei la colpa. E tutto questo mi infastidisce, certo, ma soprattutto mi spaventa.

Appoggio lo smartphone sul letto e mi abbandono con la testa sul cuscino e le mani sul viso.
Ho affrontato così tante volte situazioni simili che oramai ho perso il conto. Eppure in questo caso c'è qualcosa che ne aumenta la difficoltà, peggiorandone la dinamica e complicandone il distacco da parte mia.
Probabilmente mi sbaglio, non è cambiato nulla rispetto al solito, i pensieri sono sempre quelli, semplicemente sono cambiato io.
Forse mi sono indebolito, forse è colpa di ciò che è accaduto o forse mi stavo abituando a un'esistenza dove il DOC non era particolarmente presente, e lui vuole farmela pagare.

Mio padre bussa all porta.
"Michè, posso?"
"Sì..."
"Ascolta... a che ora avete il volo? Perché vorrei accompagnarvi io in aeroporto."
"Non... non me lo ricordo."
"Beh, controlla il biglietto, no?" mormora con un sorriso.
Prendo il cellulare, ma non sblocco nemmeno lo schermo. In compenso sbuffo strofinandomi energicamente le palpebre e mi metto seduto.
"Pà... senti, stavo pensando che magari... magari potrei rimanere qui un po' di più, farti compagnia, darti una mano..."
"Ma che dici?" esclama avvicinandosi al letto. 
Lana, come un'ombra, lo segue lentamente, si mette seduta e ci studia in silenzio.
"Solamente per una settimana o due, così, in caso di bisogno..."
"Ci sarebbero Elisa e Vittorio."
"Lo so, ma io..."
"Tu hai la tua vita, il tuo lavoro, i tuoi impegni..."
"Ma ho anche una sorella, ho anche un padre..."
"Che ti sostengono e ti vogliono bene, pure se vivi in un'altra nazione."
Sbuffo trattenendo a stento le lacrime.
"Michè..." sussurra mio padre sedendosi al mio fianco con una mano sulla mia spalla.
Lo guardo di sfuggita e abbasso gli occhi sul pavimento.
"Non hai ancora fatto i biglietti, vero?"
Muovo appena la testa in segno d'assenso.
"Ma perché? Noi ce la caviamo, stai tranquil..."
"Senti io non voglio abbandonarvi, ok?!" sbotto alzandomi di scatto.
Papà non fa una piega, si limita ad osservarmi.
"L'ho già fatto una volta, me ne sono andato via e guarda cos'è successo!"
"E hai paura che possa accadere di nuovo."
Annuisco stringendo i pugni.

Non trattengo più le lacrime. Le sento scorrere lungo le guance, mi tagliano il viso, mentre il macigno che sento sul petto pare alleggerirsi tanto da permettermi di respirare a fondo.
Mio padre mi sfiora il polso invitandomi vicino a lui, tra le sue braccia.
"È vero, quello che è successo potrebbe accadere un'altra volta, nessuno può saperlo, ma in ogni caso non sarebbe a causa tua, come non lo è stato questa volta. Semmai la colpa è stata mia e della mia testa dura. Sapevo di essere a rischio d'infarto, di non poter mantenere i ritmi lavorativi che avevo, ma l'ho fatto lo stesso."
"L'hai fatto per noi..."
"Sì, ma anche per me. Da quando tua madre se n'è andata, ho provato a tenere la mente occupata il più possibile, ma i pensieri non spariscono, mai. Rimangono sempre lì, da qualche parte, pronti a darti fastidio, a ferirti, a buttarti giù."
"Sì, ne so qualcosa" brontolo asciugandomi gli occhi con la manica.
"Infatti, anche meglio di me. Ma sappiamo entrambi anche un'altra cosa fondamentale."
Papà mi fissa, le sue pupille ferme nelle mie.
"Noi non siamo i nostri pensieri, Michele."

Lo guardo per qualche secondo, senza dire una parola, deglutisco a fatica il groppo in gola che mi sta opprimendo. Mio padre mi accarezza il volto, mentre accenno un debole sorriso.
"Io e mamma eravamo così contenti quando hai iniziato a parlarci di Londra, così orgogliosi."
"Vi rompevo le scatole un giorno sì e l'altro pure."
"E a noi faceva soltanto piacere. La tua era una scelta coraggiosa, libera, da persona adulta."
Gli occhi di papà si fanno lucidi, e anche i miei tornano a inumidirsi.
"Non abbiamo mai, ripeto mai visto questa tua scelta come un abbandono, anzi..."
Abbozzo un altro flebile sorriso.
"Mi manchi ogni giorno, e sarà così per sempre. Ma solo l'idea che tu stia facendo ciò che ti rende felice, mi rincuora e rende felice anche me."
Lo abbraccio e lui mi stringe a sé. Nessun suono ci circonda, se non quello delle parole che ci siamo scambiati negli ultimi minuti e del lieve russare della cagnolina, addormentata ai nostri piedi.
"Ti voglio bene pà."
"Anch'io Michè, tanto."
Torna a osservarmi, la sue mani sulle mie spalle.
"Dimmi un po', vuoi tornare a Londra, sì o no?"
Sospiro buttando fuori più aria possibile. Sento gli artigli del Disturbo Ossessivo Compulsivo risalire il burrone, frettolosi, agitati. Il pensiero intrusivo sta tornando, è pronto a rimbombare nella mia scatola cranica. Eccolo, lo sento, lo penso, ma lo ignoro.
"Sì."
"Forza allora, compriamo sti biglietti. Coerenti e costanti."
"Coerenti e costanti."

"

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Mal di gioia - Parte 2Where stories live. Discover now