Capitolo 1

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P.O.V. Katherine

Sbatto la porta della mia stanza e mi butto sul letto piangendo. Un altro giorno schifoso. Oggi ci sono andati pesanti, piú del solito. Ero seduta da sola a mangiare quando ho sentito tutti gli sguardi dei ragazzi presenti nella mensa. Mi sono girata per vedere che cosa stesse succedendo ignara di chi avessi dietro; ho visto i soliti che mi stanno rovinato la vita sorridermi e mettermi un cestino di spazzatura pieno in testa. Tutti hanno riso mentre io ero lì, scioccata e immobile. Come sempre mi sono sentita lo zimbello della scuola, dopo tutto... lo sono diventata per colpa loro. Mi sono alzata e sono corsa verso la porta per uscire da quell'inferno ma ho sbattuto contro qualcuno. Non ho osato guardare in faccia chi fosse, non mi sono neanche accorta che stessi piangendo. Volevo solo andare via da lì per chiudermi in bagno a piangere. I miei coetanei la mattina si alzano contenti di andare a scuola mentre per me è come se stessi andando all'inferno. Vorrei poter andare via da qui, avere l'opportunitá di cominciare da zero per poter avere amici, per stare bene.
Mi alzo dalla sedia. Davanti a me c'é lo specchio dell'armadio. Mi fisso senza muovermi, guardo ció che le persone sono capaci di fare ad altre. I miei occhi verdi sono gonfi dal pianto e i capelli rossi sono ancora pieni di sporcizia. Sento bussare alla porta.
"Si?" Dico con voce roca
"Tesoro posso entrare?" mi chiede una voce calda. Zia Elena.
"Zia, possiamo parlare dopo? Devo farmi la doccia" mi affretto a dire
"Certo, ti aspetto di sotto" mi dice. Sento i passi allontanarsi. Ah zia, se solo sapessi che cosa mi sta succedendo. Non ho il coraggio di dirglielo. Sono presa di mira da un gruppo di ragazzi perché sono una povera orfanella di cui la sorella del padre ha avuto pietà e l'ha adottata. Già, in effetti hanno ragione. Ma quello che non sanno è che i miei genitori sono morti in un incendio dentro casa. Io ero troppo piccola per ricordarmi esattamente cosa fosse successo quel maledetto giorno, ma una cosa non la dimenticheró mai: l'odore del fumo. Sono viva per miracolo, i pompieri sono riusciti a tirarmi fuori dalle fiamme e me la sono cavata con una bruciatura sul fianco destro. Tutto é andato perso nell'incendio tranne una foto di mio padre da giovane che tengo sul comodino. Più passa il tempo e meno ricordo per questo disegno tutto ciò che penso, per non dimenticare. I miei disegni li tengo nascosti, non mi piace condividerli con qualcuno. Nemmeno mia zia. Ora non voglio piú pensarci. Vado in bagno e mi faccio una doccia. Quando esco, mi vesto e scendo al piano di sotto. Trovo mia zia seduta a tavola con le braccia conserte a fissare il vuoto. Mi fermo a guardarla come se fosse la prima volta che la vedo. Ha un viso così angelico, con qualche ruga qua e là, i capelli biondi le cadono dolcemente sulle spalle, i suoi occhi azzurri però sembrano persi. Lei é il contrario di mio padre. Lui era moro con gli occhi uguali ai miei. Ho notato che ultimamente é dimagrita un sacco e intravedo delle occhiaie. Appena mi vede mi fa un sorriso troppo forzato.
"Vieni tesoro, siediti pure" mi dice spostando una sedia. Mi siedo e la fisso, c'é qualcosa che non va. Lo capisco da come si sta torturando le mani
"Dimmi pure zia" le dico.
"Tesoro, ma hai pianto?" Mi chiede allarmata. L'unica persona in grado di leggere nei miei occhi é lei. E io nei suoi.
"Tranquilla zia, é per una cavolata" mento, non le dico la verità perchè voglio evitare che si preoccupi e conoscendola ribalterebbe la scuola da cima a fondo.
"Sei sicura?" Insiste
"Certo, che stavi dicendo..." dico cercando di cambiare discorso
"Tesoro, io non so come dirtelo" dice girandosi i pollici. È nervosa e sta mettendo ansia anche a me.
"Zia..." La incoraggio a continuare
"Ecco,  devo partire" mi dice. Ah solo questo? Tutto questo nervosismo per niente?
"Fai buon viaggio allora. Non ti preoccupare di me, posso cavarmela fino al tuo ritorno" le dico cercando di sorriderle. Lei sbianca in volto.
"È questo che mi é difficile dirti. Io... devo stare via per un po' " mi dice piangendo
"Che significa?" Chiedo. Lo stomaco mi si sta stringendo
"Lo zio ha bisogno di me e devo andare da lui. Ci dobbiamo s...separare" Ecco la goccia che fa traboccare il vaso. Se prima ero distrutta adesso sono devastata. Vuole lasciarmi sola... solo che io vorrei tanto andare con lei.
"E io dove starò?" Le chiedo calma. Non ho nessuno. Nè amici da cui stare nè parenti. Ci siamo solo io e lei.
"Al campus. Ti ho già riservato una stanza solo per te. Non avrai nessuno con te, così hai tutta la privacy che vuoi tesoro. Ogni settimana ti manderò dei soldi per non farti mancare nulla. Anche se sarò lontana, ci sarò sempre per te." Dice alzandosi e abbracciandomi.
Io non ricambio. Perché non riesco a credere alle sue parole? Sento dentro di me che mi sta nascondendo qualcosa. John non le ha mai chiesto di andare a Huston da lui... questa storia non mi convince. John é suo marito. Viveva con noi 3 anni fa ma poi gli hanno offerto una buona opportunitá di lavoro a Huston che ha accettato per mantenerci. Lo vedo poche volte all'anno e, ripeto, mia zia non é mai andata da lui da sola quindi... c'é del falso in quello che sta dicendo.
"Quando parti?" Le chiedo con una voce che non sembra mia.
"Domani" risponde.
"E la casa?" É l'unico posto che posso chiamare casa. Non posso sopportare di vederla in mano a qualcun'altro.
"È tua. Adesso appartiene a te" mi dice. Io la guardo. Non ci posso credere. Mi ha lasciato la casa in eredità, quindi vuol dire che non ha intenzione di tornare. Cosa me ne faccio di una casa se non posso starci? Sto in silenzio e la guardo.
"Amore dimmi qualcosa" mi supplica.
"Zia, che vuoi che ti dica? Che mi sento abbandonata per la seconda volta? Che starò di nuovo da sola in quell'inferno?"
"Non farmelo pesare ti prego. È già difficile cosi" dice iniziando a piangere. Mi si spezza il cuore vederla in questo stato. Adesso devo prendere in mano la situazione.  Mia zia non ci sarà sempre per me, non voglio farla stare male. È giunta l'ora.
"Va bene." Dico e vado in camera. Prendo tutto ciò che mi serve, faccio le valigie e le metto davanti alla porta della mia stanza. Mi corico, sperando che domani sia un giorno migliore.

La sveglia suona e io mi alzo. Ed ecco che ha inizio la mia nuova vita. Scendo di sotto con ancora il pigiama e vedo Zia Elena pronta per partire. L'abbraccio forte. Ho pensato tutta la notte. Lei non mi sta abbandonando. Non ci sono solo io nella sua vita ed é giusto che vada da John. Sto diventando un sacco paranoica ma capitemi, lo sarebbero tutti se avessero passato almeno un terzo di ció che mi succede.
"Ti prego perdonami" mi dice singhiozzando
"Non ho niente da perdonarti zia. Salutami John" rispondo dandole un bacio sulla guancia. Devo essere forte. Per lei e per loro.
"Abbi cura di te e..." dice staccandosi la collana dal collo "tienila sempre con te". Me la porge ed io la stringo forte. É una catenina d'oro con un ciondolo simile a una perla. Non ho mai avuto l'occasione di chiederle perché la portasse sempre e penso che non lo saprò mai. Mi dà un ultimo bacio ed esce dalla casa. Io la seguo. Apre la porta per salire sul taxi
"Ti voglio bene mamma!" le urlo. Sono poche le volte che mi ha sentito dire questa frase ma non le ho mai detto mamma. Volevo che sapesse che per me non è mia zia ma mia madre e mio padre.La mia famiglia. Mi sorride e sale in macchina. I finestrini del taxi sono oscurati e non riesco a vederla ma sono sicura che lei mi stia guardando. Mi metto la collana al collo e la stringo. Il taxi parte e rimango lì a guardare finché non sparisce. É difficile lasciar andare le persone a noi care ma prima o poi succederá, solo che io non ero preparata. Se mi ha lasciato qui ci sará un motivo perció adesso voglio solo focalizzarmi sullo studio. Mi vesto velocemente ed esco. Arriva il mio taxista, scende e carica le valige in macchina. Chiudo bene la porta a chiave e vado a scuola. È ancora presto. Nessuno gira a quest'ora e meno male così posso passare inosservata. Il signore trascina le valige fino alla scala principale. Lo ringrazio pagandolo più del dovuto. Faticando un po' con i bagagli prendo l'ascensore e salgo in segreteria. Stranamente trovo la segretaria giá al lavoro.
"Buongiorno,  dovrei prendere le chiavi della mia camera" dico
"Nome?"
"Katherine Wood" risponde. L'appoggia sul bancone insieme ad un foglio da firmare. Prima lo leggo. Zia mi ha fatto una testa enorme per queste cose, bisogna sempre leggere prima di firmare. Guardo il numero: terzo piano scala B, camera 45. Metto le mie valigie ingombranti di nuovo nell'ascensore e salgo.

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