21. TROPPO TARDI PER TUTTO

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21 marzo 1988

Kai POV

-Non...non possiamo.-
Quelle parole mi spezzarono dentro.
Sentii l'urlo del mio orgoglio ferito rimbombarmi nelle cervello. Sentii la rabbia che come sangue iniziava a colare a fiotti caldi lungo la mia gola, fino alle viscere, corrodendo tutto ciò che trovava lungo il tragitto.
Dovetti controllarmi per non farle del male. Per un attimo desiderai metterle le mani al collo e stringere fino a farle uscire la vita dal corpo.

Mi alzai di scatto prima che quello che sentivo dentro avesse la meglio sul mio autocontrollo.
-Fottiti.- sputai con rabbia andandomene.

Me la lasciai alle spalle ed entrai in casa alla ricerca di qualcosa di forte da bere. Non mi importava che fossi stato appena male. Dovevo distruggermi.

Arrivato al banco degli alcolici incontrai Joe ed Alex, due ragazzi che venivano in classe con me. 
Non mi stavano simpatici ma nemmeno antipatici, quindi spinto dall'alcool e dalla disperazione iniziai a parlare con loro. Salimmo al piano di sopra perché a quanto dicevano la vera festa era lì.   Quando salimmo però, tutte le stanze erano chiuse e sembrava fosse tutto deserto.
Joe, il più "grande" di noi 3 bussò a una porta. Venne ad aprire subito una ragazza praticamente nuda che lo salutò e ci fece entrare.
Le stanze erano piene di ragazze sbronze che ballavano sui letti e i ragazzi bevevano e fumavano guardandole.
Mi parve una cosa alquanto interessante. Ci sedemmo su un divanetto ancora libero e iniziammo a bere anche noi. I miei occhi saettavano dalle tette di una, al culo di un'altra ragazza a ripetizione. Ben presto però, mi resi conto che in realtà tutto ciò non mi interessava: sentivo ancora il rifiuto di Emily rimbombarmi nelle orecchie. 
Dopo un po' ne ebbi abbastanza.
-Usciamo?- chiesi urlando nelle orecchie di Alex. 
Lui annuì subito perché non sembrava entusiasta della situazione in cui ci trovavamo. Fece un gesto a Joe che sbuffò e alzò gli occhi al cielo.Scendemmo di sotto e uscimmo in giardino per prendere aria. 

Una cascata di capelli rossi catturò subito con violenza il mio sguardo.
La vidi. Se ne stava seduta immobile sul bordo della piscina e fissava l'acqua. I suoi capelli arrivavano fino a terra.
Mi venne un'idea. Guardai Alex e Joe e feci loro segno di fare silenzio.
Mi avvicinai senza fare rumore e appena fui abbastanza vicino la scaraventai in acqua.
La buttai dentro con talmente tanta violenza che gli schizzi dovuti all'impatto arrivarono fino alle altre persone che stavano in giardino.
Mi godetti con una vena di sadismo la scena di Emily che cercava di riemergere.
Poi, mi scambiai gesti di vittoria con i nostri compagni di classe.
Troppo occupato a festeggiare non mi accorsi subito che Emily era riuscita ad uscire dalla piscina e stava venendo da me.
Appena incrociai il suo sguardo, ebbi un attimo di paura.

Eccoti. Eccoti stronza. Ecco che ti mostri al mondo per quella che sei. Ecco che basta la mia presenza per scatenare l'animale che c'è in te. La furia ti rende ancora più bella. Letale. Vivrei solo per far diventare questa furia uno stato perenne.

 Vivrei solo per far diventare questa furia uno stato perenne

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Poi, la mia visuale cambiò e sentii la mia guancia bruciare.
Quella stronza mi aveva tirato uno schiaffo. Davanti a tutti.
-Nemmeno oggi hai saputo trattenerti vero?- urlò sull'orlo delle lacrime.
Risi di gusto e mi piazzai a due centimetri dalla sua faccia.
-Stupida! Cosa diavolo pensavi, che solo perché era il tuo compleanno ti avrei risparmiata?-
Mi spintonò con forza facendomi quasi cadere e io non ci vidi più.
La spinsi a mia volta ma lei si aggrappò alle mie braccia facendomi perdere stabilità.
PErsi la terra sotto i piedi e in un secondo mi ritrovai in acqua con lei che mi spingeva la testa sotto.
Le morsi un braccio facendola urlare di dolore e continuammo a lottare.
All'improvviso qualcuno la trascinò via da me e io venni bloccato e tirato fuori dalla piscina.
Non era giusto, non era ancora finita.
Provai con tutte le forze a divincolarmi mentre me la portavano via.
-Sei una stronza Emily Noemi White! Una grandissima puttana!- gridavo come un ossesso.
-Calmati Kai! Basta! Testa di cazzo!- gridava Joe placcandomi contro il muro di cinta della casa per evitare che riuscissi a liberarmi.
Mi arrivò un pugno in pancia che mi fece piegare e "risvegliare" dallo stato in cui mi trovavo.
Sentivo l'erba umida sotto le mani, il cuore che batteva a mille, e il respiro pesante.
-Ti sei calmato coglione?- chiese Joe abbassandomi alla mia altezza.
Annuii tossendo.
Restai un'eternità in quella posizione aspettando di ricominciare a ragionare. Attorno a noi la gente aveva ricominciato a festeggiare come se nulla fosse successo.
-Ti porto a casa.- disse seccamente Joe alzandomi di peso. 
Lui fortunatamente aveva 17 anni e di conseguenza la patente. Ci dirigemmo verso la sua auto parcheggiata a bordo strada.

-Che problemi avete tu e quella?- domandò concentrandosi sulla strada.
Non risposi, allora lui continuò a parlare.
-Sembra sempre che dobbiate ammazzarvi a vicenda da quanto vi odiate ma sembra anche che per voi sia impossibile vivere senza l'altro...-
La veritá che mi rifiutavo ad ammettere era uscita dalla bocca di Joe. Anche se in realtà quella sera ero stato rifiutato senza una motivazione plausibile.
-Taci.- mi limitai a dire.
Per tutto il viaggio in auto regnò il silenzio e quando arrivammo davanti a casa mia ci salutammo senza dire una parola.
Guardai verso casa di Emily e vidi che c'era una figura seduta in veranda: era lei.
Decisi di andare a parlarle: in quel momento una sorta di senso di colpa fastidioso si stava insinuando in me.
Mi fermai davanti a lei. Doveva essersi cambiata e fatta una doccia perché ora era asciutta e con dei vestiti puliti.
Non mi guardava e fissava un punto indefinito in strada.
Mi schiarii la voce mentre mi sedevo accanto a lei.
-Ems...-
Si voltò di scatto.
-Mi...mi dispiace...- dissi a fatica.
Il mio sguardo cadde sulle sue lavbra ma mi ero ripromesso di non fare mai piú lo stesso errore di qualche ora prima.
Appoggiò la sua testa contro la mia spalla e sospirò.

-È troppo tardi Kai, troppo tardi per tutto.- 

Sembrava si fosse rassegnata ma non capivo a cosa.
Sospirai e intrecciai la mia mano alla sua.
-Auguri cretina.- mormorai guardando la luna in cielo.
Lei mi tirò un pugno sul braccio e finsi di cadere a terra.
Iniziò a ridere, poi si rabbuiò. Si alzò e si incamminò verso la porta di casa.
-Notte.- mormorò senza guardarmi.
Non mi diede il tempo di replicare perché la porta si era già chiusa alle sue spalle.



NEMESI - Le due metàWhere stories live. Discover now