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  L'ora che seguì, per Alice, fu una nebbia indistinta di suoni e visioni.
  L'autista guidava a velocità spericolata, attraversando città e cittadine, mentre la pioggia fitta rendeva quasi impossibile vedere alcunché.  Le luci e gli edifici apparivano annacquati e deformi, come scaturiti da un'allucinazione indotta da qualche droga. A un certo punto intorno al pullman si ammassarono delle persone dai vestiti logori, con i capelli incollati alla testa e i visi devastati da strane piaghe, come quelle che Alice aveva visto sulla donna che aveva aggredito Thomas. Si misero a battere sui fianchi dell'automezzo, come se volessero salire, per sfuggire alle esistenze orribili che stavano vivendo.
  Il pullman non rallentò mai. Alice non scambiò nessuna parola col fratello, né con gli altri.
  <<Che sta succedendo?>> chiese Thomas, forse rivolgendosi alla donna seduta dall'altra parte del corridoio.
  La donna si girò verso di lui, lanciandogli un'occhiata. I capelli neri le scendevano a ciocche bagnate intorno al viso. Gli occhi scuri erano pieni di dolore. <<È una storia molto lunga.>> La voce della donna era molto più gentile di quanto si aspettasse Alice, il che le fece sperare che magari fosse davvero una persona amica, che lo fossero tutti i loro soccorritori. Nonostante il fatto che avessero investito una donna a sangue freddo.
  <<Ti prego>> si intromise Alice. <<Ti prego, dacci qualche spiegazione.>>
  La donna esitò un momento, perdendosi nei suoi pensieri. Lo sguardo triste di colui che ha perso quasi tutto, e soprattuto dei familiari. Sospirò. <<Ci vorrà un po' prima che vi torni la memoria, sempre che vi torni... Noi non siamo scienziati e non abbiamo idea di cosa vi abbiamo fatto, o come.>>
  Se la memoria l'aveva persa per sempre, cosa le rimaneva di lei?, pensò Alice. Privata di una cosa praticamente impossibile da privare. La memoria è una caratteristica propria di ogni uomo, diversa per ognuno, che determina anche il comportamento e il carattere della persona. È una parte della libertà. Privati della libertà, non avendo più dei ricordi concreti che legittimano la realtà e la materialità delle cose. Senza memoria non si è certi di nulla.
  Il vero problema era che le cose base e fondamentali, Alice e gli altri Radurai, dall'arrivo nella Radura, se le ricordavano. I suoi della pioggia, l'acqua che scorre sulla pelle, gli animali, la natura, le macchine e gli edifici. Ma mancavano i tasselli più importanti: le persone, i luoghi, gli eventi, la felicità che avevano provato o la tristezza e il dolore di alcuni momenti. Nulla.
  <<Chi sono quelli?>> domandò la donna ironicamente. <<Cominciò con le eruzioni solari>> disse, mentre il suo sguardo si faceva distante.
<<Cosa...>> esordì Alice.
Lasciala parlare, le disse con la mente Thomas. Sembra ne abbia voglia.
  Okay.
  La donna sembrava parlare quasi in trance, senza mai distogliere lo sguardo dal punto indistinti che stava fissando, nel vuoto. <<Non fu possibile prevedere le eruzioni solari. Le eruzioni sono senza precedenti, immani. Raggiunsero picchi sempre più alti... e una volta che furono individuate, fu solo questione di minuti prima che l'ondata di calore colpisse la Terra. Prima furono inceneriti i nostri satelliti. Migliaia di persone morirono all'istante, milioni nel giro di qualche giorno. Un numero incalcolabile di chilometri terresti fu ridotto a una landa desolata. Poi arrivò la malattia.>>
  Fece una pausa, respirò. <<L'ecosistema andò in pezzi e divenne impossibile controllare la malattia... e anche provare a confinarla in Sudamerica. Le giungle erano scomparse, ma gli insetti no. Ora la gente la chiama l'Eruzione. È una cosa orribile... orribile. Solo i più ricchi possono essere curati, nessuno può essere guarito. A meno che le voci che provengono dalle Ande non siano vere.>>
  Il cuore di Alice traboccava di orrore.
  <<Quanto a voi, tutti voi... siete solo qualcuno dei milioni di ragazzi rimasti orfani. Ne esaminarono a migliaia e scelsero voi per il grande evento. La Prova delle Prove. Tutti quello che avete vissuto è stato calcolato nei minimi dettagli. Sono stati messi dei catalizzatori a studiare le vostre reazioni, le vostre onde celebrarli, i vostri pensieri. Tutto nel tentativo di trovare colori che saranno in grandi di aiutarci a scoprire un modo per sconfiggere l'Eruzione.>>
  Si interruppe di nuovo, si potrò la ciocca di capelli dietro l'orecchio. <<La maggior parte degli effetti fisici è causata da qualcos'altro. Come prima cosa cominciano le allucinazioni, poi gli istinti animali iniziano a sopraffare quelli umani. Infine si viene consumati, privati della propria umanità. Succede tutto nel cervello. L'Eruzione vive nel cervello di chi la prende. È una cosa terrificante. Meglio morire che prenderla.>>
  La donna smise di guardare nel vuoto e spostò lo sguardo prima su Thomas e poi su Alice. <<Non lasceremo che facciano questa cosa ai bambini. Abbiamo giurato sulla nostra vita di combattere la C.A.T.T.I.V.O. Non possiamo perdere la nostra umanità, non importa quale sia il risultato finale.>>
  Intrecciò le mani sul grembo e guardò i quattro ragazzi. <<Con il tempo capirete più cose. Noi viviamo all'estremo Nord. Migliaia di chilometri ci separano dalle Ande. Quest'area viene chiamata Zona Bruciata e sta a metà strada tra qui e là. Sta più o meno intorno a quello che un tempo veniva chiamato Equatore... Adesso è semplicemente una terra ridotta a polvere e calore, piena di selvaggi consumati dall'Eruzione a un livello ormai disastroso. Stiamo cercando di attraversare questo territorio... di trovare una cura. Ma fino ad allora combatteremo la C.A.T.T.I.V.O. e fermeremo i test e gli sperimenti.>>
Osservò con attenzione i ragazzi. <<La nostra speranza è che vi unirete a noi.>>
Poi distolse lo sguardo, mettendosi a fissare fuori dal finestrino.
Alice si voltò verso Newt, che si limitò a scuotere la testa. La ragazza si appoggiò al fratello. Non riusciva ad addormentarsi quindi poteva solo rimanere seduta a fissare la pioggia e il buio fuori dal finestrino, riflettendo su parole come Eruzione, malattia, esperimento, Zona Bruciata e C.A.T.T.I.V.O. Poteva solo rimanere seduta a sperare che la situazione attuale fosse migliore di quella del Labirinto.
Due ore dopo, il pullman frenò.
Si erano fermati in un parcheggio fangoso che circondava un edificio anonimo con diverse file di finestre. La donna e altri soccorritori fecero spostare i diciannove ragazzi e la ragazza, facendoli entrare dalla porta d'ingresso e poi salire su una scala. Finirono in un enorme dormitorio con una serie di letti a castello allineati lungo la parete. Dal lato opposto c'erano cassettiere e scrivanie. Le finestre coperte dalle tende su intervallavano su ciascuna parete della stanza come in una scacchiera.
Alice osservò tutto con silenzio. Ormai nulla la poteva stupire o sopraffare di nuovo.
La stanza era coloratissima. Muri color giallo acceso, coperte rosse, tende verdi. Dopo il grigiore smorto della Radura, era come essere trasportati in un arcobaleno vivente. La vista di quel l'insieme di cose - i letti, le cassettiere, tutto fresco e pronto all'uso - trasmetteva un senso di normalità quasi opprimente. Troppo bello per essere vero. Quando mise piede nel loro nuovo mondo, Minho espresse quella sensazione al meglio: <<Caspio, sono morto e sono finito in paradiso.>>
Alice sorrise alla battuta ma dentro di se sentiva un vuoto. Non riusciva a provare niente.
L'autista e capo del gruppo lasciò i Radurai nelle mani del personale, nove o dieci ulivi e donne che indossavano pantaloni neri stirati e camicie bianche i capelli impeccabili i visu e le mani ben puliti. Erano tutti sorridenti.
I colori. I letti. Il personale. Alice percepì una felicità impossibile che cercava di erompere dentro di lei. Tuttavia, vi si nascondeva un enorme abisso, una cupa depressione che forse non l'avrebbe mai abbandonata. Eppure la ragazza in quel posto riuscì a sentirsi al sicuro.
Furono assegnati i letti e poi distribuiti i vestiti e l'occorrente per il bagno. Fu servita la cena. Una pizza. Una vera, genuina pizza di quelle che lasciano l'unto sulle dita. L'atmosfera di sollievo e soddisfazione, intorno a Alice, era tangibile. La maggior parte di Radurai era rimasta in silenzio fino ad allora, forse temendo che, parlandone, avrebbe fatto svanire tutto. Però si videro tanti sorrisi.
Poco dopo mangiato, quando dissero loro che era ora di andare a dormire, nessuno ebbe nulla da obiettare.

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Non ho ricontrollato se ci fossero errori quindi mi scuso. E mi scuso anche del ritardo con cui esce questo capitolo ma sono stata enormemente impegnata con la scuola e vari motivi personali. Prometto di far uscire a breve gli ultimi due capitoli e un avviso per annunciarvi (probabilmente) il secondo libro.
Grazie e buona lettura.

Alice in The Maze - Il LabirintoWhere stories live. Discover now