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Una gentile brezza accarezzava le foglie del vigneto provocando un lieto fruscio, il sole all'orizzonte illuminava i chicchi ormai maturi dell'uva ambrata che pendeva dai numerosi sostegni realizzati in legno. L'estate stava per concludersi, l'autunno bussava già alle porte e le temperature in lento calo ne erano la prova.
Respiravo a pieni polmoni il profumo nell'aria, finalmente la mia stagione preferita stava per arrivare e potevo lasciarmi alle spalle il caldo opprimente che in quell'anno ci aveva fatto faticare il doppio del normale.

<<Elys, potresti sbrigarti? Servirebbe il tuo aiuto dentro.>> Era questa la frase che soleva usare mio padre quando mi fermavo un attimo e con la mente iniziavo a vagare lontano dai campi e oltre le montagne boscose che circondavano Malivane, il nostro piccolo villaggio.

Ed è proprio da questa frase comune, da un giorno come gli altri, che tutto ebbe inizio.

<<Sì padre, vado immediatamente.>> Risposi sollevando il cesto d'uva adagiato al mio fianco.

<<Brava bambina, se solo tuo fratello maggiore fosse diligente come te a quest'ora avremmo finito di raccogliere tutta la frutta>>

Sorrisi voltandomi verso il grande albero di gelsi bianchi sicura di trovare alla sua base, David, il maggiore dei miei due fratelli, con il naso immerso in un polveroso libro barattato probabilmente al mercato, ma quel giorno nel volgere lo sguardo verso l'albero oltre a lui notai una coda rossa scarlatta dalla punta bianca spuntare dall'erba alta che divideva il vigneto dal viale principale.

Indugiai qualche secondo alla vista di quella che sembrava essere la coda di un cane, ma consapevole di non poter perdere altro tempo ripresi il mio cammino avviandomi verso casa.

Mia madre era già in cucina intenta a tagliare gli ortaggi che sarebbero diventati gli ingredienti principali della nostra cena.

<<Madre...>> dissi pensierosa andando a posare il mio cesto sul mobile in legno dinanzi all'ingresso.

<<Oh Elys, giusto in tempo per la zuppa. Metteresti la pentola sul fuoco?>> Domandò lei senza sollevare lo sguardo dalle carote.

<<Sì>> Avrei voluto parlarle della strana coda vista poco prima, ma la premura e il cambio d'argomento lasciò alla mia mente sbadata la possibilità di far volare via sia il pensiero che le parole.

Mi avvicinai dunque a lei sollevando la pentola e avvicinandola al fuoco, sentendo poco dopo Dorian, il mio secondo fratello, nonché secondogenito, scendere le cigolanti scale in legno della nostra casetta. Mi meravigliai di non aver notato subito la sua presenza in casa, essendo un ambiente piuttosto piccolo solitamente era abbastanza facile capire quando qualcuno si trovava al piano di sopra.

<<La casacca che ci aveva richiesto il parroco è pronta madre, la prossima volta che dovremmo recarci al mercato potremmo consegnargliela.>>

Dorian, di due anni più grande di me e quattro più piccolo di David, era quello tra i miei fratelli a darsi maggiormente da fare sia in casa che nei campi, abile praticamente in tutti i lavori manuali e sempre sorridente. Un po' lo invidiavo. Perfino la sua corporatura era adatta a tutte quelle fatiche che si imponeva ogni giorno. Non aveva un filo di pancia eppure i muscoli non gli mancavano di certo, l'unica pecca che forse stonava nel complesso erano i ricci capelli castani perennemente spettinati. Poteva lavarli, tagliarli e spazzolarli anche sedici volte al giorno, essi andavano sempre per i fatti loro facendolo assomigliare a un cespuglio di more.

Al contrario David aveva dei meravigliosi capelli neri dai riflessi blu, uguali per colore ai miei, ma molto più lucenti, corti e mossi giusto quel poco che bastava per renderli perfetti. Ricordo che in quel periodo aveva da poco compiuto i ventisei anni e per tal motivo i miei avevano iniziato a fargli pressione per fargli prendere il prima possibile moglie.

Ogni volta che loro iniziavano a prendere il discorso, lui sospirando si alzava in silenzio, prendeva un libro e si rintanava in un angolo della casa a leggere e ad appuntare frasi sui bordi delle pagine. Io lo seguivo con lo sguardo curiosa di sapere cosa gli passasse per la testa e qualche volta provai anche ad avvicinarmi per sbirciare sopra la sua spalla le parole impresse con l'inchiostro su quelle pagine ingiallite, ma puntualmente venivo colta con le mani nel sacco e sgridata. Spesso era in quei momenti che nascevano le nostre liti, lui era l'unico con cui mi sentivo abbastanza in confidenza da poterci persino litigare, ma era anche il fratello che segretamente preferivo. Era merito suo se da piccola avevo imparato a leggere e a scrivere e a lui dovevo ogni mia conoscenza, un maestro infallibile e severo che però stravedeva per la sua sorellina.

Potevamo dircele di tutti i colori a vicenda, ma guai a sentire qualcun altro rivolgersi in quel modo a uno di noi. Eravamo pronti a difenderci fino alla morte, così anche Dorian. Ma per lui era diverso... nessuno mai avrebbe avuto qualcosa da ridire contro il perfetto ragazzo riccioluto.

E mentre pensavo ai due caratteri differenti dei miei fratelli sentì all'ingresso anche la voce di mio padre.

Accompagnato da David entrò sorridente, era la fotocopia di Dorian, solo con i capelli brizzolati e qualche ruga in più. Tutto in loro due gridava la loro parentela eccetto i grandi occhi grigi che avevamo ereditato io e mio fratello maggiore.

Mia madre versò le verdure rimanenti nella pentola con cautela e passò ad apparecchiare la tavola mentre io mi occupavo di girare la zuppa.

<<Giornata produttiva?>> Chiese sorridendo dolcemente al marito.

<<Purtroppo non come qualche anno fa, ma finchè avremo qualcosa da vendere sarà meglio non lamentarci>>.

Dorian annuì spostandosi al mio fianco con una ciotola in mano.

<<Manca tanto sorellina? Ho una fame tremenda>>.

Sorrisi scuotendo la testa, fuori poteva esserci anche un'invasione di cavallette, all'ora di cena per lui esisteva solo il cibo.

<<È quasi pronto, prova a sederti e a colmare temporaneamente il tuo appetito con dell'acqua>> gli dissi assaggiando la zuppa per capire quanto sale andasse aggiunto.

<<Pensi sempre al cibo tu>> lo ammonì David appoggiandosi con la schiena al muro e chiudendo il libro che si era portato dietro.

<<Tesoro, porta rispetto a tuo fratello, anche oggi si è impegnato molto. Ha concluso il lavoro che ci era stato commissionato da Don Teor>> Rispose mia madre.

<<Piuttosto tu quand'è che ti deciderai a chiedere in sposa sua figlia?>>

Guardai con la coda dell'occhio David che sollevò gli occhi al cielo e si avvicinò alla tavola per prendere le ciotole ed avvicinarmele.

<<Tra cinque mesi, il trentesimo giorno>>

Sollevai il capo dalla pentola stranita dalla sua risposta e mi morsi le labbra per non mettermi a ridere. Il trenta febbraio eh?

Lui arrivò al mio fianco e mi fece l'occhiolino. I miei non avendo capito l'imbroglio esultarono iniziando a congratularsi e a fantasticare sui preparativi della cerimonia.

<<Dovremmo dirlo allo zio Savier e alla sua dolce signora allora, saranno lieti di ricevere la notizia>> cominciò mia madre battendo le mani.

<<Con calma mamma, in fondo non è detto che accetti>> disse lui.

<<Come no? Figliolo, sei il meglio che quella sventurata possa desiderare. Sei un uomo colto e con una dote discreta, perché mai dovrebbe rifiutarti?>>

<<Perché la vita è imprevedibile madre>> rispose sollevando le spalle e sorrise consapevole del fatto che dalla sua bocca non sarebbe mai uscita una richiesta di matrimonio per quella giovane donna tanto bella quanto antipatica e fidatevi, era una delle donzelle più belle del villaggio, una bellezza che lasciava trapelare, dai seri lineamenti, un'indole capricciosa e viziata che da sempre aveva fatto si che David se ne tenesse alla larga.

La serata andò avanti così, con i miei che cercavano di estrapolare più informazioni possibili a David e lui che abilmente sfuggiva e rigirava le domande a suo favore. La sua arte da oratore era qualcosa che da sempre avevo provato a imitare, fallendo il più delle volte.

S'agapó alepoúWhere stories live. Discover now