11|Un pomeriggio col principino viziato

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Sebastian si appoggiò sul muretto del balcone, privo di qualsiasi pianta come invece lo erano tutti gli altri. Suo zio non amava le piante, diceva che portavano insetti schifosi come formiche, coccinelle, cimici, bruchi, ragni e quant'altro. La sua fobia per gli insetti aveva reso la loro penthouse priva di qualsiasi pianta eccetto quelle finte che teneva in salotto e faceva finta di annaffiare quando arrivavano gli ospiti.

"Finto" pensò Sebastian. Il suo respiro si condensò in una nuvoletta. "Questo mondo è finto. Vivono tutti di illusioni e nonostante si sappia che sono tutte menzogne alle persone piace lo stesso. Io non li capisco".

Guardò in fondo e vide il cielo tingersi di rosso. Era l'alba del 13 marzo 2021.

Tirò fuori dal taschino un orologio ereditato dal suo bisnonno. La catenella era d'argento, ma il resto era d'acciaio. Il suo bisnonno era un ricco apparente.
Dava grandi feste, faceva finta di essere qualcuno di potente e spendeva tutti i soldi guadagnati dalle sue scoperte scientifiche per finanziare feste o piccoli progetti destinati al fallimento.
Tutti lo ricordavano per la sua grande intelligenza, tanto grande da potersi accostare a Einstein, Newton o Leonardo Da Vinci, ma per Sebastian non era altro che un uomo che sapeva vendere bene le sue menzogne.

"Finto" continuò allontanandosi dal muretto. "È tutto finto".

Persino i suoi amici erano finti. Lo avevano abbindolato con frasi fatte come "Ti vogliamo bene", "Non stiamo con te solo per i tuoi soldi" o "Saremo migliori amici per sempre". Ma alla prima occasione gli avevano tutti voltato le spalle.

False promesse. Finto. Tutto finto.

E l'amore dei suoi genitori? Finto anche quello. Dicevano di volergli bene e poi non passavano mai del tempo con lui, e lo avevano spedito dallo zio a Milano nella speranza che potesse sviluppare il suo rapporto con lui o trovarsi nuovi amici.

Ma anche suo zio non era quasi mai presente e per quanto l'uomo cercasse di includerlo si vedeva che i suoi sorrisi e i suoi modi gentili erano forzati. Finto. Suo zio era finto.

Osservò il sole fare lentamente capolino all'orizzonte. Digrignò i denti frustrato e rientrò nella sua stanza.

Si guardò intorno. Era immacolata. Tutto era perfettamente pulito e spolverato e ogni cosa era al suo posto. Non sopportava il disordine e non sopportava nemmeno lo sporco.

Forse la sua era una fissa, ma non lo avrebbe mai ammesso. Per lui pulire era terapeutico, lo aiutava a distrarsi dai suoi pensieri articolati e complessi che spesso prendevano una piega pessimista.

Ripose su un appendino il suo cappotto e prese il telefono che aveva riposto sulla scrivania.
Sulla schermata di blocco apparve un fastidioso promemoria:

RIPASSO DI MATEMATICA CON LA NANETTA ORE 12

Sbuffò infastidito e cancellò il promemoria. Non aveva la minima voglia di vedermi quel giorno, aveva altro di cui preoccuparsi. Ma ormai aveva promesso alla dottoressa che avrebbe fatto un tentativo.

"Anche lei è finta" pensò. "Mente alla sua amica. Che sia un atto di eroismo in nome dell'amicizia o meno, lei è proprio come tutti gli altri. Nauseante, fastidiosa, irriverente falsa".

(Mi sento offesa)

Ripose con cura il telefono sulla scrivania, raddrizzandolo in modo che fosse parallelo con il bordo. Spense la luce della sua stanza, rimanendo immerso nella quiete dell'oscurità per qualche secondo. Poi la sua pancia brontolò.

"Ciò che lo stomaco comanda, lo stomaco avrà" pensò con tono ironico.

Uscì dalla stanza chiudendola a chiave in modo che suo zio non ficcanasasse tra le sue cose com'era già successo qualche giorno prima.
Aveva trovato alcuni dei suoi quadernetti dove teneva le sue idee e i suoi pensieri più importanti. Erano come dei piccoli diari e si era sentito violato nel sapere che erano stati letti. Dopo quella volta si era assicurato di nasconderli in un posto difficile da guardare: il suo materasso.
Sì, era pazzo, ma almeno era previdente.

I Temibili 10Where stories live. Discover now