25|Odi et amo - R&D

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RAYMOND & DYANA

Non amo i monologhi.
E non amo nemmeno scrivere.
Sono stato obbligato da Giulia a raccontare la mia triste esperienza di quel giorno, altrimenti lei avrebbe continuato a saltellare su e giù intorno a me cantando in modo stonato una delle più orribili canzoni mai scritte e cantate. Mi sanguinano le orecchie al solo pensiero.

Comunque, saltava come una molla e non la smetteva, quindi ho dovuto per forza assecondarla.

Nanetta fastidiosa... Per punizione ti obbligo a pubblicare tutto quello che scriverò, tutto, insulti compresi. Così impari a infastidire Raymond Torbjørn Barachiel.

(Gentile...)

La mia storia non è un granché complessa o sdolcinata. Sono cresciuto ad Asker, in Norvegia e otto anni fa mi sono trasferito dall'altra parte del mondo, a Manhattan, per venire incontro alle esigenze della Città Aurea. Non chiedetemi perché volessero che mi trasferissi lì, sono cose da adulti e i miei genitori non hanno intenzione di dirmi nulla.

Sono severi, molto severi, mi sembrano delle statue a volte. Ma non li ho mai fatti arrabbiare, ho sempre cercato di essere il figlio perfetto che loro volevano: voti alti, fisico forte e allenato, intelligenza sopra la media.

Sarò modesto: sono egoista e arrogante, e molto. Il loro spingermi ad essere migliore mi ha portato a diventare così, motivo per cui fatico tutt'oggi a farmi degli amici.

Vedevo le amicizie come un vincolo, un passatempo inutile che distoglieva dai propri interessi. Forse siete già pronti a contraddirmi e a dire che in realtà gli amici ce li ho: i prescelti, ma loro non sono amici, sono la mia famiglia ed è ben diverso.

Comunque, ho sempre messo me stesso e i miei obbiettivi e doveri avanti a ogni cosa. Non avevo problemi a sfruttare le mie abilità motorie per vincere medaglie su medaglie e non avevo paura a mettere in ombra i miei compagni di classe per emergere.

Per questo motivo i miei insegnanti, sia quelli in Norvegia che in America, hanno continuato a portare questa problematica nei colloqui con i miei genitori. Ma a loro importava solo che fossi il migliore, il resto non aveva importanza.

Lo stesso valeva, e vale ancora, per mia sorella gemella Maja.

In parte è colpa sua se quel giorno di marzo ci rimasi male per aver scoperto di dover lottare contro un'amica, o almeno, una persona che consideravo tale.

L'Infernale in questione si chiamava Dyana ed era un'amica di Maja. Veniva spesso a casa nostra a studiare e ormai ci avevo fatto l'abitudine.
Ogni volta che la vedevo me ne restavo in camera mia con la porta chiusa a studiare o ad allenarmi col sacco da boxe. Come ho già detto, era un'amica di mia sorella e non avevo intenzione di averci nulla a che fare.

Ma Dyana insisteva ogni volta per parlarmi e tutte le volte che rifiutavo mi beccavo delle occhiatacce da mia sorella.

Io non le capisco le ragazze, per loro deve essere tutto implicito, con stupidi segnali che non recepisco mai e nomi in codice assurdi tipo "biondino", "calze corte", "cappellino rosa" e così via.

Non possono semplicemente dire le cose a voce?

Pretendono troppo da noi ragazzi, come se fossimo in grado di leggere nella loro mente. Anzi, non ci terrei nemmeno a farlo, chissà come sarebbe contorta e piena di futili emozioni esagerate.

Distrazioni. Pensavo fossero solo delle distrazioni. Gli amici, gli hobby, le fidanzate, le serate in discoteca o al ristorante, tutte forme di modi per buttare il tempo in qualcosa che non mi sarebbe mai servito.

I Temibili 10Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt