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Fissai il soffitto della mia camera immersa nel buio della notte.
I miei genitori si erano già addormentati, ma io non riuscivo a prendere sonno. Ogni volta che chiudevo gli occhi, i petali blu ricominciavano a scendere e la scena con Ulegard si ripeteva ancora e ancora e ancora...

Non avevo ipotesi su cosa potesse essere, lo avrei scoperto sicuramente in futuro ma il mio cervello non voleva comunque saperne di lasciarmi in pace.

Ogni strada che percorrevo portava a un vicolo cieco fatto di domande su domande su domande.

Spostai lo sguardo leggermente a destra, rannicchiandomi nelle coperte. Il regalo di Marta se ne stava impacchettato sopra la mia scrivania, pronto per essere consegnato alla festa a sorpresa che avevo organizzato con gli altri prescelti durante uno dei nostri allenamenti qualche giorno prima.

Sbuffai rigirandomi e diedi le spalle al muro, fissando l'oscurità nella mia stanza.
La me di un anno prima avrebbe avuto paura del buio, avrebbe chiuso gli occhi e usato la sua coperta come scudo per proteggersi dai mostri immaginari che si aggiravano nelle ombre.

Non avevo più paura di loro, perché sapevo di avere un'arma e dei poteri con cui combatterli.

Ma ora era dei miei demoni che ero terrorizzata.
I miei timori, le mie insicurezze, le sconfitte che avevo subito erano diventati dei fardelli difficili da reggere.

Ogni giorno il peso aumentava insieme al senso di inadeguatezza e io venivo spinta verso un abisso dove la mia stessa voce continuava a ripetermi ogni mio fallimento.

Perché nonostante volessi convincermi del contrario, io stavo fallendo e stavo deludendo le aspettative dei pochi che contavano su di me. Mi ripetevo che sarebbe andato tutto bene, che sarei riuscita a recuperare e a portarmi al livello dei miei compagni, ma c'era sempre quella voce che ripeteva: "bugiarda, non fai abbastanza, non sei abbastanza".

E ogni volta che ottenevo una piccola conquista non mi sentivo felice.

Il mondo aveva perso i suoi colori per me, e non riuscivo più a vederli. Ogni cosa aveva perso il suo valore e io avevo dimenticato il mio.
Mi sforzavo di essere come tutti gli altri e di dimostrare di essere degna del mio compito, perché volevo essere come loro. Sentivo di essere diversa, ma non in senso positivo, non come quelle protagoniste dei libri che sostengono di essere diverse e speciali e magiche e favolose e abilissime in tutto ciò che fanno e naturalmente predisposte al loro destino.

No.

Io ero una sfigata, un'incapace, una persona che continuava a demoralizzarsi, piangersi addosso, desiderare di scomparire e demoralizzarsi di nuovo. Ero entrata in un circolo vizioso che avevo provato ad evitare allontanandomi da tutto e tutti e come risultato mi ero rintanata in un mondo fatto di illusioni dove non potevo vedere o sentire nessuno attorno a me. Ero circondata da persone che mi volevano bene, ma mi ero così tanto estraniata da ogni tipo di emozione che li sentivo più distanti di quanto non fossero. Il loro amore, per quanto grande, non poteva più raggiungermi.

Non c'era più salvezza per me.

Tirai un sospiro tremante mentre mi rigiravo ancora una volta e mi rannicchiavo in posizione fetale.
Accarezzai il marchio sul mio braccio, ricordandomi di come l'avevo ricevuto. Ai tempi dell'Accademia, per quanto difficile fosse la situazione, ero più spensierata ma anche sconsiderata. Ora ero fin troppo prudente, perché avevo paura di perdere le poche persone che avevo intorno. Ma le avevo già perse. Tutte quante. Perché non riuscivo più a sentirle, non come prima.

Allontanai le coperte e mi sedetti sul letto a gambe incrociate. Continuavo a sfregare la mano sul braccio, desiderando di strappare la pelle sopra quel marchio maledetto.

I Temibili 10Where stories live. Discover now