La borsa

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           Martha aveva consumato il pensiero assurdo di ritrovare la sua borsa camminando per la città di Empoli. Era consapevole di quanto fosse inutile ogni suo rimuginare, ma lo aveva fatto ugualmente. Dimenticandosi molte altre cose, si era concentrata sui movimenti che aveva fatto entrando in quella casa. Sì ricordò di aver scosso le scarpe per evitare di portare la sabbia all'interno dell'appartamento. Ne era sicura? Sì: erano entrati passando per la spiaggia e dunque doveva aver compiuto proprio quel gesto. No, non era stato così, ora ricordava meglio. Era entrata e basta. Le scarpe le aveva tolte subito dopo, mentre baciava l'uomo. Un uomo appena conosciuto. Ma era la borsa la sua priorità, ancora prima del morto, ancora prima di quell'uomo. Così si concentrò nuovamente su quell'oggetto. Il motivo era evidente: la sopravvivenza, meglio ancora, l'istinto di sopravvivenza.

Perché è di questo che si interrogava Martha: sarebbe sopravvissuta a tutto ciò? Fuggire dal luogo di un omicidio e sperare di farla franca?

La risposta le suonava immediata: no.

Un avvocato penalista come lei lo sapeva bene che le cose fatte nel modo in cui aveva agito non sarebbero andate a buon fine. Neppure nel caso che il destino le riservasse un'enorme fortuna.

Avrebbero trovato i riscontri, e sebbene le sue impronte non fossero di certo schedate dalla Polizia e, stava pensando lei, non era poi così semplice trovarle (in realtà ve ne erano moltissime), la borsa avrebbe comunque pregiudicato tutto.

Nei suoi pensieri, si configurava l'esito delle indagini: "La signora Manetti?", "Sì, sono io", "Buongiorno signora, dovrebbe seguirci al commissariato", "Io? Perché?", "Perché è lei in questa fotografia, giusto? E la borsa è la sua, non è forse vero?".

Un esito scontato che non faceva una piega in quel groviglio di pensieri, ma ancor peggio sarebbero state le parole successive, taglienti come rasoi: "Dimenticavamo di chiederglielo, può succedere, lei può capire l'essere poliziotti sbadati; comunque, a proposito, lei è la moglie del dottor...".

Sì, certamente, pensò Martha, queste ultime parole sarebbero state le peggiori.

Ed era per questo motivo che era fuggita da quella casa, per salvare quel che restava del suo matrimonio e salvaguardare la reputazione di suo marito. Perché sebbene potesse sembrare a quel punto un assurdo, ad analizzare la situazione, si poteva ben comprendere quanto la morte di quell'uomo l'avesse saldamente ancorata a quanto più di sicuro disporre: la sua famiglia. Ma scappare non era stata la scelta migliore, troppo l'azzardo, troppo il rischio.

La borsa.

I documenti, il telefono.

Chi avrebbe ritrovato quella borsa avrebbe potuto fare alcune scelte: denunciarla, ignorarla o ricattarla.

Ma era chiaro che il punto centrale dei suoi pensieri non fosse l'aver smarrito quella borsa. Perché, sebbene lo stato d'animo di Martha fosse alterato e in totale disordine, ricordava bene dove l'aveva lasciata entrando nella casa di quell'uomo.

Dunque qualcuno l'aveva presa, ma chi? E soprattutto: perché?!

I nervi tesi, la camminata incerta. Martha si aggrappò all'opzione del ricatto, la più semplice nella logica del guadagno e della soluzione: pagare e dimenticare.

Così si chiese: aveva soldi a sufficienza per poter rispondere ad un riscatto? Ne aveva. Avrebbe potuto tacere il fatto a Giacomo? Più difficile, ma ne sarebbe stata capace.

Non le restava che quell'opzione come l'unica accettabile ed in fondo se ne convinse.

Ingannandosi.


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