A cose fatte

6 3 0
                                    



            La scientifica stava operando nella casa da alcune ore. Si era chiarito dell'omicidio con arma da fuoco. Una pistola sicuramente, ma il fatto andava ulteriormente accertato. Il bossolo, uno solo, non era stato ritrovato e ciò avrebbe complicato alcune cose dell'indagine. Tempi più lunghi e incertezze non buone nei processi e neppure nelle indagini. Il proiettile era entrato nella schiena dell'uomo, altezza del cuore, ed era uscito dal petto andandosi a conficcare chissà dove visto che in due ore ancora non lo avevano trovato. Ci mancava che non saltasse fuori ed il riconoscimento dell'arma avrebbe richiesto uno sforzo notevole e forse non risolutivo. Ma lo avrebbero trovato, ne erano certi quelli della scientifica che avevano tranquillizzato sul tema il loro responsabile.

Giacomo sembrò non interessarsi del lavoro della scientifica. Ma non era così. Era unicamente consapevole che non avrebbe potuto nulla e che... stava pensando alla frase del magistrato...avrebbe potuto operare soltanto "a cose fatte". Attendeva, dunque, di poter entrato nuovamente nella casa, questa volta da solo, e avrebbe ipotizzato la dinamica degli eventi.

Lo avevano contattato dalla Questura ed il vicequestore di turno, che era rientrato dall'intervento sulla rapina, si era offerto di sostituirlo.

"No, grazie", aveva risposto Giacomo, "oramai che sono qui, qui rimango. E poi il Questore non mi assegna un incarico vero da settimane e questo, ora, è mio".

"Insisto, dottore", aveva detto ancora il vicequestore.

"Ho detto no, non rompa Carlo", lo aveva freddato Giacomo, "la informerò, prometto, a cose fatte", aveva chiuso Giacomo sorridendo. Si accese una sigaretta, ma non ne aveva voglia e la spense quasi subito. Controllò il telefono, non aveva chiamate. Compose il numero di Martha, ma era irraggiungibile. Buttando giù la salva, controllò l'orologio. Erano le tre di notte ormai, "cazzo, quando finiscono quelli?!" disse all'agente poco distante da lui, ma non era una vera domanda.

Stanco per l'attesa, Giacomo si avvicinò alla casa. Le luci artificiali illuminavano l'area dando al contesto una luce sfavillante che creava ombre nette sullo sfondo. Giacomo si avvicinò all'auto di servizio. Vittori sembrava stanco. I due non si parlarono, limitandosi ad un cenno con il capo. Giacomo sfilò dalla giacca un pacchetto di gomme da masticare e ne offrì una a Vittori che apprezzò.

"Che si fa adesso?", chiese Vittori per spezzare la monotonia.

"Che si fa? Sì fa che neppure ti rispondo, Vittori!", rispose acido Giacomo che proprio non ne perdonava una a Vittori, poi forse si pentì perché cambio tono e aggiunse: "Dobbiamo aspettare. Come sempre, oltre la metà del nostro tempo aspettiamo, minuti e mezz'ore andate via così".

Giacomo salì in auto, richiuse la porta, fece in modo di poter abbassare il finestrino dell'auto.

Passarono così alcuni minuti fatti di niente fuori, mentre dentro la casa le attività procedevano meticolosamente alla ricerca di tracce e di evidenze. Il lavoro era stato lungo, e la ragione era che la scena del delitto era densa di fatti da verificare: il bagno, chiaramente, ma anche la camera da letto con le lenzuola disfatte ed un cuscino abbandonato per terra, e la zona del soggiorno in ordine ma che avrebbe potuto portare a qualche sorpresa. Poi, quando l'attesa sembrava non terminare, Farina, della scientifica uscì finalmente dalla casa dal lato della spiaggia ed andò verso Giacomo che, impaziente di mettersi all'opera, gli andò incontro lasciando la portiera dell'auto aperta.

"Finalmente! Cosa abbiamo?".

"Di tutto, direi. La casa in generale è pulita, e così le cose sono più evidenti", disse soppesando le parole.

"Farina, cazzo, lo sai, con me vai al punto e salta i preliminari", disse secco Giacomo.

"Già", asciutto Farina, "Capelli lunghi di una lei, supponiamo, sul letto e anche nel secondo bagno. Le impronte delle suole lo sai già, ma abbiamo appurato siano scarpe con il tacco, e il numero dovrebbe essere tra il trentasette ed il trentotto".

"Con il tacco...", lo interruppe Giacomo.

"Sì, pensiamo sia così perché in una zona, proprio nella prima parte del bagno c'è il sangue che lascia uno spazio intorno ad una sagoma a punta ma poi si addensa subito dietro e non segue una sagoma intera di una scarpa. Mi sono spiegato?", chiese Farina.

Giacomo lo guardò, provò ad immaginare la suola inarcata di una scarpa decolté e comprese le parole di Farina.

"E non c'è il segno del tacco dietro?".

"Non c'è, ma pensiamo che la donna si sia fermata appena visto il sangue e sia tornata indietro".

"Può essere", ammise Giacomo, "Posso entrare adesso?".

Incassato il sì del collega, Giacomo si mosse verso l'ingresso e chiese di potervi entrare da solo per qualche minuto. Li avrebbe chiamati lui nel caso di necessità, precisò, ma sapeva bene che raramente alla Scientifica, dopo tutte quelle ore, sarebbe sfuggito qualcosa da rilevare.

La prima sensazione che provò Giacomo all'ingresso fu un odore di mare mischiato a quello del legno della credenza posta proprio vicino alla porta di ingresso. Giacomo si avvicino al mobile come per verificare la veridicità della sua sensazione olfattiva. Aveva ragione. Il mobile doveva essere stato pulito a fondo poco tempo prima, pensò, perché era evidentemente lucido e le venature del mobile in risalto. Fece due passi verso il bagno per verificare meglio quanto detto dal collega, ma si fermò all'improvviso. Un dettaglio lo aveva trattenuto. Si voltò, la sua figura alta e le spalle assunsero rispetto alla lampada installata dalla Scientifica una posizione frontale e la luce lo accecò per un momento. Poi, risolta la temporanea mancanza della vista, si avvicinò al tavolo del soggiorno. Anch'esso era di legno massello ed anche il tavolo era stato appena lucidato con una certa perizia. E lo stesso notò per le sedie. Dettagli. Si disse. Soddisfatto, tornò sui propri passi e osservando i segnali lasciati dalla Scientifica per individuare i rilievi arrivò al bagno.

"Che ne pensi?"

La voce di Farina lo aveva sorpreso alle spalle.

"Che sei più silenzioso di un felino, che vuoi Farina? Ti avevo chiesto di rimanere da solo".

"Fuori c'è il PM, è tornata".

Giacomo emise sibilo di frustrazione.

"Dobbiamo farla entrare adesso?"

"Dice di sì, vuole vede l'uomo".

Giacomo allargò le braccia e nuovamente la luce della lampada lo colpì. Sulla parete sembrò un Cristo alto tre metri crocifisso.

"E che devi chiedere a me il permesso?", disse Giacomo per nulla contento, ma poi aggiunse "Ha ragione, saranno le quattro ormai. Fammi solo vedere l'orma della suola che mi hai descritto prima".

Farina la indicò sul pavimento.

Giacomo si chinò. Giudicò quanto descritto dal collega come certo più che probabile. Si vedeva chiaramente la punta della suola. Il sangue rappreso aveva disegnato un triangolino netto e poi si era richiuso seguendo la forma delle piastrelle. Poco a fianco lo stesso, sebbene non completamente formata, anche la seconda suola era disegnata soltanto con la punta delle scarpe.

"Hai ragione Farina, se non è una donna questa..."

"Ma rimane il problema che gli hanno sparato alla schiena, mentre se fosse stata lei gli avrebbe sparato al petto, non credi?".

"Per ora penso solo che dovremmo ritrovare quelle scarpe", rispose Giacomo.

"Sei ottimista", rispose Farina.

"Sempre", aggiunse Giacomo ma il tono della voce indicava tutt'altro.

A cose fatte, Giacomo da quella casa non portò con sé null'altro che dubbi e nessuna certezza.

"A cose fatte...", disse tra se e se, un'ultima volta.

E poi ebbe una folgorazione.

"Vittori! Andiamo. Portami a casa".

Un altro amoreWhere stories live. Discover now