Victor

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           Era bellissima, spigliata, diretta, semplice. In meno di dieci minuti che me l'avevano presentata sulla spiaggia, aveva già attivato in me tutta la mia insicurezza, e nello stesso tempo la chiara convinzione che lei avesse deciso di volere me. Pareva troppo. Ma fu così. Mi dominava, pensai di innamorarmene all'istante, ma già nei giorni successivi capii che non fosse poi così vero, né per me, tantomeno per lei. Un'avventura dell'estate, ben oltre qualsiasi mio programma e aspettative. Mi sentivo spolpato dai suoi baci e dalle sue intenzioni. Venti giorni di sole, di sabbia e di mare, in cui io imparai tutto da lei. Poi l'estate finì, e terminò anche la nostra relazione. Ricordo ancora l'ultimo bacio, per nulla romantico, fu proprio un bacio d'addio senza dirlo.

Doveva quindi essere così, poi però verso fine settembre io la cercai. Logicamente ci eravamo scambiati i numeri di telefono. Rispose alla prima telefonata, ma fredda, distaccata. Pensai avesse un altro e, forse, un altro che c'era anche prima di quell'estate. Pensieri che, a dire il vero, non mi cambiarono il pomeriggio e neppure la sera. Giusto il sapore del sale riaffiorare sulle labbra come un languido ricordo.

A vent'anni non avevo le idee chiare, e a dire il vero dimostrai poi di non averne neppure dopo.

Non ci vedemmo più quindi, e neppure ci sentimmo al telefono. Trascorsero mesi e quasi, ma non sempre, me ne dimenticai. Poi, era dicembre, lo ricordo bene perché le vetrine sapevano di Natale appena passato, la incrociai davanti al Duomo di Firenze. Era in compagnia di un'amica, parlava ed ammirava il Giotto svettare proprio sopra di loro. Ebbi l'impressione che mi avesse visto, così lasciai alle spalle le mie intenzioni e le andai incontro. Trenta passi e le sarei stato accanto, contento di salutarla. Un gruppo di turisti a tagliarmi la strada e ad obbligarmi a cedere il passo per un tempo maggiore del previsto, un cappello che cade a terra, io che mi abbasso per la cortesia di raccoglierlo e richiamare la loro attenzione. Secondi, ma essenziali. Rialzo lo sguardo nella direzione di Martha e lei non c'è più. Mi volto in tutte le direzioni, non può essere, mi dico, era lì! Istintivamente cerco il telefono nella tasca dei jeans, ma non ho voglia di telefonarle. C'è il Duomo davanti a me, c'è il campanile di Giotto. Penso che sia lì per visitare Firenze e che se la voglio incontrare devo scegliere quale delle due direzioni prendere. Scelgo il campanile, perché mi era apparso che lei e la sua amica lo stessero guardando proprio con l'intenzione di salirci. Non ho il biglietto di ingresso, volo verso la biglietteria risoluto. La coda davanti è poca e lo considero un segno. Mentre sono alla ricerca del portafoglio per prepararmi a pagare, sento dietro di me delle urla, qualcuno che chiede aiuto, un'ambulanza. Così tentenno, con i piedi verso la biglietteria, e la mente verso chi chiede di essere soccorso. Tentenno, dividermi in due non avrebbe creato un secondo visconte dimezzato, ma solo una rovinosa caduta a terra, poi, con il piglio del salvatore, mi dirigo verso la persona a terra e la giovane al suo fianco. Ci arrivo, però, che non sono più il primo, e le due donne sono già circondate da un piccolo nuvolo di persone che si prodigano chi a telefonare al soccorso medico, chi a rincuorare, chi a chiedere ad alta voce la presenza di un medico. Capisco di essere inutile e di perdere tempo rispetto all'idea di rivedere Martha. Così mi allontano di qualche passo, ma da dietro a tutte quelle persone, sento ancora distintamente alcune parole: "ambulanza" e poi, con più fervore, "è incinta", "è svenuta, fate presto". Non so perché, ma tutti i miei cinque sensi, oppure sei, si attivarono a quelle parole e l'intenzione di andarmene svanì come un animale selvaggio messo in pericolo.

Mi faccio allora largo tra le due file di persone che nel frattempo si sono formate intorno alle due giovani. Chiedo scusa, dico vagamente che sono un amico. Qualcuno si scansa, qualcuno, forse straniero, no. Arrivo dove voglio, in prima fila dunque, ma devo girare intorno perché l'amica che chiede aiuto mi copre la visuale. Poi, finalmente, la vedo. Ha gli occhi chiusi, non mi sembra in pericolo ma non risponde alle sollecitazioni della sua amica. Mi inginocchio, la guardo, le prendo una mano. È Martha, è giovane, e sarà tua madre.

Non ho tempo per pensare, per dire chi sono e per rispondere alla sua amica che mi chiede se ci conosciamo. Il cuore batte troppo forte anche solo per esprimere un semplice monosillabo. Sbianco, arrivo a pensare di svenire anche io. Arretro di un passo e mi vergogno. Le gambe mi sorreggono, ma a stento. Uno dei passanti mi guarda e non so bene cosa pensi di me, ma sorride, sbuffa e se ne va. La sua amica non si accorge di tutto ciò, neppure lei ha poi molto tempo per comprendere e per immaginare che quell'incontro avesse poco con la casualità, ma molto con il destino. La sirena dell'ambulanza, infatti, ha la forza di squarciare tutte quelle emozioni, e due poliziotti in borghese, forse in servizio nella piazza, hanno la risolutezza di fare spazio e di allontanare chi non serve e cioè tutti tranne loro e tranne l'amica. Ed è qui che mi stupisco di me stesso, che cresco all'improvviso di dieci anni. Guardo Martha ancora a terra, ma soccorsa dai primi due crocerossini. Mi avvicino all'autista, risoluto dico che sono un amico e chiedo in quale ospedale la porteranno così da poter prendere un taxi per me e l'amica che è ancora a fianco di Martha. Devo essere convincente, sintetico. Così l'autista mi dice il nome dell'ospedale ed io fingo di sapere dov'è. Come se il sapere trasferisse una certezza di avere a che fare con una persona per bene. Lui mi dice "prego", io un "mi raccomando" che non so neppure a cosa possa servire. Poi corro fuori dalla piazza, avido di vedere un taxi e di infilarmici dentro. Supero una coppia che probabilmente ha le stesse intenzioni con un taxi fermo proprio fuori dalla piazza. Con un "mi scusi" gridato senza voltarmi trasferisco la priorità e salto dentro. Detto il nome dell'ospedale e tutte la fretta di arrivarci prima dell'ambulanza. Ma non è così, Firenze non è facile neppure per un taxi. Quando arrivo infatti lei è già all'interno del pronto soccorso, ma io faccio male i miei calcoli e perdo tempo attendendo di fuori un'ambulanza che, quando arriva, ha come soccorso tutt'altra persona. Cerco allora di superare le barriere del triage e di poter avere notizie di Martha. Ne balbetto il cognome, nascosto in quel momento dietro mesi di ricordi e di oblii. Così, quell'insicurezza crea l'ostacolo dietro il quale l'operatore sanitario si trincea in un "mi dispiace", "possono entrare solo i famigliari ristetti", "non possiamo dare notizie" e prima ancora che la situazione possa diventare compromettente esco dal triage.

In quel piazzale, sotto un sole che proprio non riusciva a riscaldare un'aria che si era fatta gelida, le lacrime scesero da sole.

Non ebbi certezze, non potevo averne, eppure seppi in quel momento di essere diventato tuo padre.  

Un altro amoreNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ