Buio pesto

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            La voce di Giuliana aveva richiamato Elena per colazione. Una fatica alzarsi, una fatica anche la colazione, lei fame proprio non ne aveva, ma poi si alzò. Si sedette sul letto, poi, scuotendo le spalle inarcò la schiena, distese le braccia, aprì le mani e si mise in piedi.

"Arrivo nonna, arrivo".

Dalla sedia vicino al letto prese la felpa lasciata il giorno prima. La infilò in un gesto. La sfiorò con le mani e sorrise. Controllò la piccola cicatrice sopra il polso, una cosa da nulla, una compagna fedele che dava il segno di appartenersi, di essere sé, come uno specchio ma senza riflesso. Specchio, quello reale, che invece metteva in evidenza le lentiggini che caratterizzavano il suo viso.

"Ciao nonna, nonno?".

"È già uscito, sono le nove".

"Papà? Mamma?"

Giuliana si rabbuiò e si infilò in cucina.

"Vado a svegliarli", disse Elena alludendo ai fratelli.

Invece tornò in camera. Prese il telefono e con disappunto trovò le chiamate che Giacomo aveva fatto.

"Adesso si arrabbia", disse a bassa voce Elena e compose il numero.

Nessuna risposta, soltanto squilli.

Elena allora tornò in cucina, Giuliana piangeva.

"Che c'è? Che hai?"

"Nulla cara, nulla, sono solo stanca".

"Ma che hai nonna?!".

"Mangia, mangia, sono solo stanca".

"Ma mamma? Papà?"

"Non lo so Elena, a volte non li capisco, a volte li detesto entrambi, non so proprio come tu possa essere quella che sei".

Elena la guardò stupita. Spostò la sedia dal tavolo, si sedette lasciando il peso del corpo incassarsi contro lo schienale come se volesse distruggerlo con un colpo secco. Guardò la tazza del latte ed il caffè. Penso che sua nonna avesse ragione. I suoi genitori erano buoni, dimostravano affetto per lei e per i fratelli e che non le era mancato nulla, proprio nulla, ma li aveva anche sempre visti... estenuanti, non vi era altra parola per spiegare a se stessa cosa pensasse del lavoro dei suoi genitori e dei loro impegni incessanti, e se solo avesse potuto chiedere una benedizione avrebbe chiesto la grazia per un po' di pace, di braccia distese per ripararsi per un tutto il tempo necessario. Avere quindici anni era una frustrazione. Meglio prima e, così credeva lei, meglio sarebbe stato dopo, ed invece a quindici anni non era né cucciolo né spavalda, né forte né sufficientemente debole, non era libera e non era indipendente, non era...non trovava le parole... non era al centro di nulla, e peggio, al contempo, era il centro della sua famiglia, ne era il metronomo. In fondo lo era sempre stata: attenta a gestire i fratelli, attenta a gestire le stranezze di una madre assente, attenta ad un padre presente ma solo quando c'era.

E poi la mancanza che non aveva mai saputo definire, una sensazione che avrebbe avuto saper spiegare ma che non era mai riuscita a farlo.

Ci aveva pensato spesso quando tutti in casa dormivano e lei invece no. Lei no. Quando si alzava dal letto per andare a guardare i fratelli sereni nella loro beata spensieratezza e a sentire i suoi genitori a fare l'amore.

Non capiva bene perché ma quel stare nel mezzo le sapeva di amaro e si sentiva in colpa per questo.

"Che hai piccola, non devi preoccuparti per me", disse Giuliana.

"Nulla nonna, nulla sono soltanto ... ho fame, posso avere altro caffè?".

"Ma non hai ancora bevuto quello".

"Sì, ma ora lo bevo nonna, e dei biscotti".

"Sì, sì, lo preparo subito Elena, ma tu, ti prego", disse Giuliana e avvicinandosi baciò la nipote senza concludere la frase.

Elena neppure si ricordava l'ultima volta che la nonna l'avesse baciata. Una donna algida, severa ma giusta, una donna che... "e già, anche lei era un metronomo", pensò Elena, "una batti ritmo, una previsione sempre rispettata del tempo, una certezza insomma, una che gli spazi sapeva riempirli e svuotarli a piacere. Una che, quando non piove più sa far piovere ancora e quando il sole c'è lei ne mette ancora".

No, Elena non avrebbe voluto diventare come lei. Troppa la responsabilità e troppo l'impegno. Ed era sicura che sua nonna Giuliana avesse le sue spille a pungere il cuore, i suoi nodi alla gola, i suoi dolori. Perché suo marito non c'era mai. Abitava con lei, ma ogni scusa per non esserci era buona. Lei sapeva dove andasse il suo uomo e seppur le spaccasse il cuore lo aveva sempre accettato.

Per questo Elena non voleva diventare come sua nonna, e neppure come suo nonno. Lei, sotto quel temporale non avrebbe mai voluto starci.

"Ecco il caffè e i biscotti".

"Grazie nonna, sono buoni".

"Li ho fatti ieri, ma sì sono ancora buoni, è vero".

Giuliana prese dal tavolino del salotto un cruciverba, distrarsi le avrebbe fatto bene. Tipico di lei quando sentiva il rumore dei pensieri degli altri.

"Buio totale, cinque lettere"

"Nonna dai!"

"Aiutami, buio..."

"Ma non lo so...", disse Elena mangiando un biscotto.

"Pesto!", disse ad alta voce Giuliana, "Buio Pesto!".

Elena schioccò le labbra staccandole dalla tazza, ed era bella quando rideva. Posò la tazza sul bordo del tavolo, un gioco che faceva sempre per far arrabbiare la nonna, ma poi la spostò delicatamente sentendosi in difetto.

"Ti piace questa felpa? L'ha comprata papà a Milano".

"A Milano?" chiese Giuliana.

"Sì, l'anno scorso, ci era andato per una riunione, sai com'è papà, no? Lui va, torna, lo chiamano e rivà, poi torna e va ancora ed io non so cosa faccia realmente e quando glielo chiedo lui mi bacia e non mi dice nulla".

"È un poliziotto importante tuo padre, non può dirti cosa fa. Fa cose brutte, credo, e cose belle".

"Lo so e sono orgogliosa, ma ... a volte mi fa paura, dovrei avere paura per papà? Nonna?".

Giuliana non era il tipo di nonna che dice la verità anche quando la verità è palese, piuttosto avrebbe negato anche di fronte all'ingresso del Paradiso e se soltanto Dante l'avesse conosciuta prima di scrivere la Divina l'avrebbe messa nel girone dei bugiardi a fin di bene. La pena Dante l'avrebbe descritta alla sua maniera, ma a pensarci bene anziché una pena le avrebbe affibbiato l'incarico di stare davanti alla porta dell'Inferno a rispondere alla domanda degli entranti: "Ma dentro fa veramente caldo?".

In una domenica di pioggia, Giuliana avrebbe detto che l'idea di andare al mare sarebbe perfetta perché non avrebbe piovuto lì. In una partita già persa, avrebbe giocato tutto. In coda da mezz'ora avrebbe negato la noia. Per un amore perso, avrebbe dato tutto, dell'altro amore ancora.

Questa era Giuliana.

Ed Elena lo sapeva.

Pensieri che facevano male.

"Uomo che dorme attento a non farsi male, sette lettere", disse Giuliana.

"Nonna, ti ho chiesto altro".

"Lo so, Elena, ma ora facciamo il cruciverba".

"Che palle, nonna".

"Inizia per F".

Elena sbuffò, scostò una ciocca di capelli, fece finta di pensarci a lungo e poi rispose: "Fachiro".

"Brava!", Giuliana sorrise. E sorrise bene.

Una piccola goccia nel mare del suo malumore.

Poi il suono del telefono a spaccare il momento.

Fuori c'era il Sole, ma era arrivato il buio pesto.

Un altro amoreWhere stories live. Discover now