Victor

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            Oggi, sono gli sguardi dei ragazzi a preoccuparmi maggiormente. Il buongiorno in coro copre solo per un momento il mio imbarazzo. Sono qui, ma non sono qui, penso. Sono a lezione, ma non con la testa, e loro se ne accorgeranno. Li conosco, i ragazzi capiscono tutto, prima di tutti.

Ed infatti Marco alza la mano, "strano", penso, di solito è l'ultimo a parlare, vedo cosa ha da dire e gli concedo di parlare.

"Come sta oggi professore?".

Diretto., questo è lui, quando parla.

"Bene, bene", taglio corto, come il mio fiato.

Sento un bisogno impellente di aprire la finestra.

Con le spalle alla classe, eseguo un movimento goffo per aprire le due grandi vetrate.

Ridono.

Non li biasimo.

Comprendo dai rumori della classe che i ragazzi hanno iniziato a commentare il mio stato d'animo. Giulio ha detto che sono impazzito e anche questo è insolito, per lui che non è mai loquace. Le ragazze sono altrettanto dirette e parlano sottovoce, ma forse è soltanto una mia personale amplificazione della situazione. Mi sento nudo davanti a loro, invece sono vestito con la mia solita impeccabile cura.

Ritorno alla cattedra, mi siedo, prendo il registro e faccio l'appello. Una cosa del tutto inutile visto che i banchi sono completamente occupati e non manca nessuno. Non si sa mai, potrebbero obiettare in presidenza, qualcuno che dimenticasse il suo nome e che inviasse una controfigura di tredici anni in classe.

Che poi, Giuseppe sembra realmente la controfigura di sé, cioè sembra non avere tredici anni, con quel suo metro e quasi ottanta e spalle da sedicenne. È il capo della classe, di fatto. Stanno tutti a sentirlo quando parla, fanno quello che chiede quando lo chiede. Per nostra fortuna è il gigante buono del paese.

"Oggi, parliamo di geografia".

Li ho sorpresi perché oggi non è prevista geografia, ma italiano, vedo sguardi preoccupati, temono un'interrogazione fuori programma.

"Oggi non c'è geografia, non abbiamo il libro", interviene Giuseppe e subito tutti si rilassano perché ha parlato lui.

"Abbiamo la lavagna, vieni tu Giuseppe".

Giuseppe non è indolente, nonostante la mole, al contrario, è agile, gioca a calcio in una squadra che non so quale sia, e non vorrei essere un suo avversario. In un momento solo, come se fosse un gesto unico, si alza ed è alla lavagna. Prende il gesso, mi guarda, attende.

"Disegna il paese in cui vorresti vivere".

"Quale?", chiede Giuseppe stupito.

"Uno tra quelli in cui ti piacerebbe vivere".

Giuseppe ci pensa su, guarda me, poi guarda i compagni di classe ed io intuisco che si riferisce a loro come le sue radici. Si volta verso la lavagna, disegna un tratto indecifrabile e piccolo sulla lavagna, poi intorno con il gesso disegna il mare e dice "Qui".

Guardo Giuseppe, non mi è chiaro dove sia questo suo "qui" e allora chiedo di dirlo a me e alla classe.

"Qui, nel nostro paese", chiarisce ma senza chiarire visto che il mare con il posto in cui siamo non c'entra proprio niente. Semmai terra, argilla. Il nostro qui non è cielo e sabbia, per intenderci.

La classe ride, ma non è un riso di scherno, ridono per approvazione, rumoreggiano per soddisfazione e Chiara alza la mano.

"Prego Chiara, vieni alla lavagna", la invito e mi rendo conto che non sto più pensando al biglietto di questa mattina e inevitabilmente una scarica elettrica mi percuote e tento di scacciarla via come una mosca fastidiosa, ma è molto di più grande di una mosca ed è molto più fastidiosa.

Chiara prende il gesso dalle mani di Giuseppe e il ragazzo scivola verso il suo posto senza ostacolare la compagna, ma muovendosi al contrario come se fosse una moviola al rallentatore.

Tutti ridono nuovamente, ora Giuseppe fa il pagliaccio ed io intuisco che un po' si vergona per quel disegno che ha appena fatto alla lavagna.

Chiara attende che Giuseppe sia seduto e con il gesso disegna un rettangolo con contorni non delineati, ma sembra più o meno quella la forma geometrica che sta disegnando.

Curioso, aspetto e non interrompo. Anche lei tratteggia il mare a destra e a sinistra del rettangolo e dichiara soddisfatta che sta rappresentando gli Stati Uniti e che lei vorrebbe vivere a New York. Lo dice sicura di sé, anche se non ci è mai stata e non ha la minima idea di cosa possa voler dire vivere in una città come quella.

"Saresti lontano da qui", commento per vedere se trovo una reazione in Chiara o nella classe.

Chiara dice sì, ma non dice altro e in quella sintesi ci trovo la semplice verità di chi vuole "rimanere", Giuseppe, e di chi pensa che nella vita sia meglio "andare" e far passare le proprie sere lontano, Chiara.

C'è, in altre parole, chi le radici le sente proprie e le vuole con sé, e chi invece le disconosce e le taglia via.

Ed allora mi rivolgo alla classe e propongo a tutti di alzarsi e scegliere il paese disegnato da Giuseppe oppure la New York di Chiara.

A turno lo fanno. Incerti se nella scelta, si schierano con il compagno o con la compagna, e a questa età non è proprio una scelta banale: come sempre ogni cosa ha il suo momento.

Alcuni impiegano più tempo, giustificano la propria scelta, guardano Giuseppe in cerca di approvazione, ma Giuseppe non dice nulla, guarda le sue radici e basta, calcola quanti gliene rimarranno, e quanti invece se ne andranno; sembra calmo, ma si vede che per lui quella scelta è davvero importante.

Ed ha ragione, perché è una questione d'amore.

Mentre inizio a contare le scelte a favore dell'idea di Giuseppe e quelle per Chiara, bussano alla porta ed entra il bidello della scuola.

La magia del momento si rompe, ed è un peccato.

"La vogliono sotto".

Mi rivolgo interrogativo, e lui, con lo sguardo, mi dice che devo proprio andare, ma non aggiunge altro.

La scarica elettrica di prima ritrova vita, incontra una strada sgombra nel mio corpo mole, e spezza le reni.

"Mi sta ascoltando, professore? Deve scendere, rimango io qui", ripete il bidello e nota che un rivolo di sudore si affaccia sulla mia fronte.

"Sì, sì, ho capito".

Ma non avevo capito nulla.

Prima di uscire, cerco lo sguardo di Giuseppe, vorrei anche io la sua approvazione. Una parte di me rimane in questa classe, me ne rendo conto nell'immediato momento che la lascio, sentendo di aver fatto radici nello sguardo di Giuseppe.

Mi piacerebbe dirglielo, mi piacerebbe dirgli di più.

Per ultimo,  sbircio la lavagna e sorrido: per poco, ma ha vinto lui. E questo mi basta.

Un altro amoreМесто, где живут истории. Откройте их для себя