l'attesa è finita

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           Il campanello suonò una seconda volta. Giuliana allora lasciò la sedia sulla quale sembrava essersi imbullonata. Si affacciò alla camera da letto di Elena. Con fare pratico annunciò un "Vado io" che risolveva la questione. Giacomo, Elena e Martha smisero di parlare, e a dire il vero ben poche erano le parole spese fino a quel momento, e comunque il loro sconforto si spense almeno per un momento. "Guardo io i gemelli", disse Elena in un fiato solo e fece per andarci, ma Martha la fermò: "Ci penso io, resta con papà".

La voce di Giuliana li raggiunse che ancora la frase di Martha non era terminata, così le due onde si mischiarono creando ulteriore confusione. "Sono i tuoi colleghi, chiedono di te Giacomo" ripeté Giuliana risoluta e contenta di essere nuovamente utile.

Con un gesto automatico, Giacomo controllò allo specchio di presentare un aspetto accettabile.

"Che vorranno, adesso?", chiese Martha mentre tornava, o andava, verso la camera dei gemelli.

"Non lo so", rispose Giacomo a metà del lavoro che prevedeva di indossare una maglia più adatta, che non sembrasse un pigiama e nemmeno una tuta, un pantalone jeans e le scarpe, il tutto con un occhio all'orologio a parete e la mente a porsi la stessa domanda appena formulata da sua moglie. "Non lo so", disse ancora più a se stesso che per ripetere il concetto, "proprio non saprei" concluse che le scarpe erano ai piedi e che l'insieme allo specchio poteva definirsi adeguato. Erano le undici e trenta del 7 giugno. Così diceva l'orologio a parete. "Vai, allora, non li fare attendere" aggiunse Martha nelle vesti di moglie, per la prima volta da giorni. Giacomo guardò Elena che intanto si era distratta leggendo i messaggi su una delle applicazioni social che condivideva con i compagni di classe. Erano zeppi di domande, e neppure una sola risposta da parte di Elena. "Ma è vero che hanno arrestato tua madre?", Filippo famoso per essere diplomatico e prendere le cose alla larga, "Come stai amore?" Elisa che aggiungeva amore più o meno sempre e dappertutto, "A domani" quasi tutti in coro uno dopo l'altro.

"Vieni con me", le disse Giacomo, "vediamo che vogliono a quest'ora".

Elena lo guardò dubbiosa, ma le braccia di Giacomo rispose mute e l'obiezione di sua figlia si spense.

"Da questa sera voglio fare più cose con te", disse Giacomo allegro e serio al contempo, "a partire dal comprendere cosa vogliano i colleghi con così tanta urgenza".

Giuliana aveva assistito a tutta la scena. Ingombrante lungo la direzione di Giacomo ed Elena, si scostò lasciando loro il passo, stupita nel vederli così tranquilli in momento del genere. Giacomo prese la cornetta del citofono, un modello tutto sommato antico rispetto ai tempi, fece per annunciarsi ma comprese che nel frattempo i colleghi erano giunti davanti alla porta di casa ed attendevano lì forse già da qualche minuto. Così aprii.

"Buonasera, dottore, scusi per il disturbo".

Giacomo rispose con un cenno gentile, ma sbrigativo perché si capiva che il collega avesse un reale urgenza da comunicare.

"Ha ordinato una consegna a domicilio?" chiese il poliziotto imbarazzato. Giacomo, intanto, li invitava ad entrare e i due colleghi lo seguirono silenziosi.

"Intende dire ora? Adesso?" chiese Giacomo.

"Sì, dottore, sotto c'è un ragazzo che dice di aver una consegna per voi. L'ora è tarda e comunque sono certo che lei ci avrebbe avvisato e comunque non lo avremmo mai fatto salire senza il suo consenso".

Giacomo guardò Elena che scrutò Giuliana che si diresse verso la camera dei gemelli dove Martha si era rifugiata per la seconda volta, ma era chiaro che nessuno avesse ordinato un niente incartato di niente.

Giuliana, infatti, dal fondo del corridoio fece un no eloquente con l'indice della mano destra e pure con quello della sinistra come se dichiararlo due volte fosse necessario.

"E allora no", disse Giacomo al collega responsabile del turno di guardia per quella sera. Lo sguardo del poliziotto era serio e tale rimase.

"Immaginavamo. Abbiamo trattenuto il ragazzo. È qui sotto. Cosa faccio? Dottore, lo mandiamo via?".

Giacomo fece per dare il suo consenso e mentre si stava per concretizzare la lettera esse sulle sue labbra sicuramente seguite da una limpida ì, tra quelle due lettere si insinuò il dubbio e l'istinto cacciò la i, spense la esse sulle labbra, poi Giacomo guardò il sovraintendente che capì ancora prima di sentire le sue parole.

"Fallo salire!", ordinò al collega.

Giacomo guardò Elena, con un gesto bloccò le scuse del sovraintendente per l'eloquio inopportuno.

"Che c'è papà?".

Non c'era che attendere, così Giacomo non rispose.

Quello che giunse al piano era un ragazzo come molti altri. Con un giacchetto azzurro ad identificare l'azienda dei raider che batteva Empoli in ogni angolo. Il viso abbassato, forse i colleghi lo avevano trattato male, pensò Giacomo.

"Buonasera", lo salutò gentile.

Il ragazzo fece scivolare tra le mani di Giacomo un diario ed un foglietto scritto a mano con un messaggio che riportava un appuntamento per il giorno e duna firma eloquente quanto inaspettata.

"Mi ha dato cinquanta euro", si giustificò il ragazzo porgendoli al poliziotto in divisa.

Giacomo lo accarezzò.

"Lo lasci andare", disse al collega, "È tutto a posto".

E dicendolo si congedò rientrando in casa, lasciando a bocca aperta il collega e il ragazzo.

Elena ripeté la stessa domanda di prima.

"Che c'è, papà?!"

Giacomo aveva capito.

La loro vita non era più soltanto nelle loro mani.

Lo seppero così.

Sospesi com'erano.

Un altro amoreWhere stories live. Discover now