Capitolo ventitrè.

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Quei tre giorni terminarono piuttosto in fretta, e i due dovettero uscire dalla loro bolla personale e tornare in California, a casa. Louis, per tutta la durata del viaggio, ruppe le scatole ad Harry dicendogli "ma hai visto quanto cavolo è stato bravo Guetta?" "ma poi, di che parliamo? Che uomo, cazzo" "è stato pazzesco, mai visto un dj-set del genere" "è stato praticamente perfetto, senza un errore, né sbavature" "dal vivo è tutta un'altra cosa, e dio quanto lo amo!" e altre frasi varie, aventi sempre lo stesso argomento.

Harry ad un certo punto sospirò, non ne voleva sapere più di David Guetta per almeno sei mesi, ne era certo. Era felice, però, perché Louis lo era. Aveva ancora in mente le immagini di un Louis in lacrime non appena salì sul palco il suo idolo. Pianse davvero come un bambino, e naturalmente Harry l'avrebbe preso in giro a lungo.

Ma Louis, in realtà, non si accorse nemmeno di star piangendo. Si lasciò totalmente sopraffare dalle emozioni, che non badò alle guance bagnate, agli occhi appannati, al tirare costantemente su col naso. Non badò a niente, si godette semplicemente lo spettacolo, in prima fila.

Il liscio aveva infatti costretto Harry ad andare sotto al palco dalla mattina, e solo così potette guadagnarsi quel posto in prima fila, e aveva fatto più che bene dato che già in tarda mattinata la gente iniziò a prendere posto dietro di loro, e ora dopo ora la folla alle loro spalle diventava sempre più numerosa.

Quando finalmente Louis si addormentò, alla settima ora di viaggio, Harry poté sospirare di sollievo. Spostò lo sguardo sul liscio, e sorrise a labbra chiuse, osservandolo dormire. Poteva sembrare, agli occhi degli altri, più che strano, ma se ne fregò. Louis dormiva con la bocca leggermente socchiusa, la testa poggiata malamente sul finestrino, e il corpo leggermente piegato verso quella direzione.

Il riccio sapeva che appena sveglio avrebbe provato non pochi dolori. Ma prima di cambiargli posizione, prese la sua macchina fotografica e gli scattò qualche foto da più angolazioni, perdendosi completamente in lui. A lavoro fatto, quando le osservò, sorrise a trentadue denti, mordendosi il labbro inferiore per l'immensa bellezza imprigionata in quel corpo.

Louis era bello, inutile dire il contrario. Era bello col suo paio d'occhi di un blu limpido ed intenso, coi suoi lineamenti delicati, col suo fisico ben definito, coi pettorali e addominali sviluppati, con la carnagione tipica di una persona californiana, col suo sguardo che affascinava chiunque. Era bello col suo carattere difficile da comprendere a primo impatto, col suo essere duro, spigliato, ma allo stesso tempo genuino, simpatico.

Harry sospirò, e distolse lo sguardo. «Sei davvero innamorato» parlò una voce al suo fianco, facendolo ridestare dai suoi pensieri e sobbalzare. Guardò la signora alla sua destra, che gli sorrideva dolcemente.

«Come, scusi?»

«Sei davvero innamorato del tuo ragazzo. Lo vedo dai tuoi occhi.»

Harry socchiuse la bocca, non sapendo cosa dire. Era innamorato? Dio no, era troppo presto. «Ehm..g-grazie, credo?»

La donna ridacchiò. «Scommetto che non gliel'hai ancora detto.»

Il riccio si schiarì la voce, dando un'occhiata al liscio al suo fianco che fortunatamente dormiva ancora beato. «No, perché non lo sono» ammise, giocando con le dita.

«Lo sei, fidati» ribatté la donna, senza perdere il sorriso. «Lo guardi come io guardo mio marito, e come lui guarda me, e noi stiamo insieme da trentatré anni. Siete una bella coppia, e avete tutto il tempo per dirvelo, non preoccuparti.»

Harry guardò la donna annuendo, senza aggiungere altro. L'avrebbe solamente offesa, dato che le stava per dire che lei non sapeva nulla di lui, e che era inconcepibile capire l'amore che prova una persona nei confronti di un'altra solamente da come la guarda.

Diamante grezzo.Where stories live. Discover now