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<<Tu devi essere Alaska Milton, immagino. Ragazzi, smettetela di chiacchierare!>> grida la professoressa, zittendo il fastidioso mormorio.
Un classico!
In questa città e non solo, appena si sente il mio cognome tutti trattengono il fiato.
La storia di mia madre ha fatto scalpore, essendo morta in un tragico incidente ed essendo una persona di grosso ceto sociale, come dicono le persone.
<<Siediti dove preferisci, ci sono alcuni banchi liberi. Io sono la professoressa Williams, l'insegnante d'inglese>>

Cammino fra i banchi evitando gli sguardi addosso a me, e mi siedo nel penultimo posto accanto alla finestra.
<<Da dove vieni Alaska?>> mi chiede l'insegnante utilizzando il suo tablet.
<<Da qui>> rispondo semplicemente.
<<Questo lo sapevamo benissimo tutti quanti, ma intendo... che scuola frequentavi prima di
questa?>>
Reggo il suo sguardo con la fronte corrucciata.
La storia di mia madre, come ho già detto, è passata sulle orecchie di tutti, ma quella di mio padre no.
È rimasta un segreto, una specie di mistero.
I miei genitori erano dei benestanti, ed è normale che certe notizie girino, ma mio padre ha fatto in modo che il nome della famiglia non venisse infangato.
Ha nascosto il suo arresto, ciò che mi aveva fatto, e siamo semplicemente scomparsi da questa città.
Nessuno ha saputo più niente.
<<Non credo che sia affar suo>> dico mantenendo il mio giuramento dalla nascita, di conservare il mistero legato alla mia famiglia.

Ricordo ancor prima che la mia vita venisse distrutta, tutte le persone incuriosite che venivano a trovarci.
Ricordo gli sguardi, le amicizie false e ogni singola bugia che ho dovuto raccontare, per mantenere il mistero.
Per loro sentire il mio nome, è come pensare ad un fantasma, alla sua misteriosa famiglia, alla misteriosa morte della madre, al misterioso lavoro del padre e alla loro figlia, sempre misteriosa, scomparsa per anni.

Sono una perfetta bugiarda, e questo lo devo ad entrambi i miei genitori, soprattutto a mio padre.
Come già si sarà capito, la regola principale nella famiglia dei Milton/Tompson (cognome di mia madre e di mia zia) era di mantenere il segreto, su tutto ciò che accadeva la dentro e fra di noi.
Io tengo ancora molto a questa regola: non c'è bisogno di sbandierare a tutti i venti quello che è successo.
Ciò che verranno sicuramente a sapere sarà che sono finita in riformatorio, ma questo sono stata io a volerlo svelare nei documenti scolastici.
Il motivo?
In primis: aumentare il mistero sulla mia famiglia, e in secondo posto, essere temuta da chi mi sta attorno.

Un po' li compatisco però!
Insomma, cercare per anni delle risposte su dove venga la mia famiglia, perché è così ricca o per quale motivo sia così misteriosa... per poi scoprire soltanto che: mia madre è stata uccisa e che io sono finita in un riformatorio(cosa per ora a conoscenza solo della mia famiglia e del personale scolastico), mette i brividi.

<<Giovedì ci sarà una verifica di ripasso ragazzi, chi è indietro rimarrà indietro vi avviso
subito!>> la Williams borbotta queste parole un'attimo prima che la campanella suoni e che tutti gli studenti si riversino nel corridoio.

Sbuffo afferrando il mio zaino e seguendo quel branco di animali fuori dalla classe.
Essendo già ora di pranzo, a causa del fatto che stamattina sono entrata a scuola all'ora che preferivo, vado verso la mensa consapevole del fatto che se non fosse per la mia misteriosa famiglia, non mi avrebbero fatto entrare.

Arrivata appena all'ingresso della mensa, il frastuono iniziale si tramuta in mormorii e la mia pazienza, già inesistente di suo, prova a convincermi di restare calma.
<<Alaska!>>
Il mio nome riecheggia nelle pareti in un modo talmente estraneo, da far tacere persino i mormorii.
<<Tyler, a cosa devo questo piacere?>> gli chiedo sarcastica ritrovandomelo davanti.
<<Mi stanno facendo troppe domande da quando sei arrivata, volevo ricordarti la regola>> sussurra serio ma con una punta di esasperazione nella voce, ed io annuisco.
<<Sono stata via per anni ma non sono cambiata Tyler, mi ricordo benissimo della regola di famiglia. Sono qui da solo un'ora accidenti! Come fai a sopportarli tutti i
giorni?>> mi lamento fulminando alcuni con lo sguardo.
<<Il nostro cognome è una condanna>>
<<Nah, adoro far paura alle persone e mettergli soggezione>> replico scatenando la sua risata.
Mi era mancato davvero tanto parlare con lui, nonostante il mio carattere acido e il tempo passato, spero di poter ancora contare su di lui.
<<Oggi a cena verrà nostra cugina>> mi avvisa perdendo in un attimo il suo sorriso.
<<Melody?>> domando con una smorfia.
Non mi è mai stata simpatica, e posso solo immaginare quanto sia diventata zoccola negli anni.
<<Vorrei poter negare>> risponde ricordandomi quanto il karma ce l'abbia contro di me.

<<D'accordo, io vado via da qui il cibo fa sicuramente schifo e le persone non sono da meno>> dico con un'espressione schifata facendogli scuotere la testa divertito.
<<Alaska!>> mi richiama fermando il mio tentativo di andarmene.
<<Si?>>
<<Togliti quella lente verde dall'occhio, ti preferisco al naturale>> dice con un sorriso indicando i suoi occhi identici ai miei.
La genetica in qualche modo ha fatto si che sia io che lui fossimo eterocromi, ovvero: che avessimo gli occhi di due colori differenti.
Come ho già detto la nostra somiglianza è palpabile e non dico solo per gli occhi, perciò per le persone non è affatto complicato riconoscermi.
Esco dalla mensa decisa a seguire il suo consiglio, sbuffando stupidamente per la mia pessima decisione di coprire il mio occhio nero con una stupida lente a contatto verde, in modo da nascondere la mia eterocromia.
Mi dirigo verso il bagno, domandandomi perfino il motivo di questa mia scelta: ho deciso di diventare menefreghista e stronza, nascondere in questo modo una mia caratteristica fondamentale va completamente contro questa mia decisione.

Mi guardo allo specchio per qualche secondo, e lentamente tolgo la lente dall'occhio sinistro, svelando il suo naturale color nero come la pece.

È da tanto che tendo a nascondere questa mia eterocromia, non perché me ne vergogno, ma semplicemente perché mi sono sempre sentita diversa dagli altri (non che sia una cosa brutta), e i miei occhi sono come la ciliegina sulla torta.
Non è un fatto di estetica, il motivo principale riguarda mio cugino e Axel, da quando me ne sono andata via da questa città ho preferito nascondere i miei occhi, come se non vederli mi tenesse lontano da entrambi.
Guardandomi allo specchio infatti e vedendo questi occhi, rivedo Tyler per la nostra somiglianza e Axel, per il profondo amore che provava nei confronti dei miei occhi.
Perfino mia madre li adorava, non faceva che ripetermelo e lì dentro non potevo permettermi di pensare a loro te più di quanto non lo facessi già.
Osservo un ultima volta il mio riflesso, per poi sospirare ed uscire dal bagno, decisa a lasciare che la mia indifferenza rivesta la mia anima.

Spazio Autrice:
Ciao a tutte, spero di aver revisionato anche questo capitolo alla perfezione.
Nel caso vi capiti di trovare degli errori, fatemelo sapere nei commenti.

Ringrazio i vecchi lettori per il loro sostegno, e saluto i nuovi sperando che questa storia li colpisca.❤️
Ricordate di lasciare una stellina e di commentare.
-Asia.

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