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Forse la Terra è l'Inferno
di un altro pianeta.
~Aldous Huxley

Tamburello la biro scura sulla scrivania, mentre le loro voci si mescolano alla ricerca di una soluzione.
Le note di Brothers risuonano nelle mie orecchie come un sottofondo a quei problemi e di tanto in tanto il mio sguardo si solleva alla ricerca del suo, il quale mi evita da ieri pomeriggio.
La sua mascella si contrae ogni qual volta sollevo il capo dal foglio bianco difronte a me, quindi sollevo gli occhi al cielo, osservando la cuffietta bianca sinistra penzolare sulla mia corta felpa nera con la scritta AC/DC in rosso.

<<Vi avevo detto di nascondervi, di sparire dalla circolazione, cosa cazzo non vi è stato chiaro?>> mio zio grida, fasciato dai suoi abiti eleganti, brandendo nella mano destra una lettera dal contenuto a noi ancora ignoto.
Tyler si volta verso di me, come a domandarmi cosa stia passando nella mia mente ed io sollevo le spalle, infastidita dal suo culo poggiato sulla mia scrivania.
<<È da codardi scappare>> mormora un ragazzo, facendo andare su tutte le furie l'uomo.
<<Vi era stato ordinato Brad, che poi sia da codardi o meno lascialo decidere a chi possiede più autorità di te>> grida infatti ed uno sbuffo esce spontaneo dalle mie labbra.
I suoi occhi si spostano verso di me e il volto così simile a quello di mio padre, mi lascia un vuoto nello stomaco.
Mi guarda come ad invitarmi a parlare, quindi gli angoli delle mie labbra si sollevano in un moto di sarcasmo.
<<Difatti condivido il suo commento>> mormoro, giocherellando con la penna nera.
<<Sta di fatto che questo non è un tuo problema>> ribatte comunque stizzito, facendomi inarcare il sopracciglio destro con confusione.
<<Vai alla ricerca di una scusa per ogni frase che pronunciamo?- sorrido fintamente- forse ti sei dimenticato che il problema invece è alquanto personale e riguarda più me che te, caro zietto>>
L'ironia è pungente e lui la coglie all'istante: noto il suo volto colorarsi di un rosso a dir poco imbarazzante, mentre frettolosamente strappa la busta fra le sue mani, tirando fuori da questa la lettera che tanto sventolava per aria fino a poco prima.
<<Vi avevo chiesto un profilo basso e tu hai fatto fuori due dei suoi- solleva la voce, indicando Axel con l'indice tremolante dalla rabbia, o meglio dire, dalla paura- mentre tu hai minacciato di morte lui>> ribatte sprezzante, facendo scorrere lo sguardo fra le lettere situate nel foglio fra le sue mani.
<<Puoi citarlo, il suo nome non ti ucciderà>> sollevo gli occhi al cielo, ma lui riprende a parlare sopra le mie parole, con tono frettoloso e palpabilmente agitato.
<<Avete scelto liberamente di agire nel modo che ritenevate più opportuno, temo che sottovalutare chi ha già avuto modo di dimostrare di ottenere sempre ciò che desidera, sia un errore che presto pagherete. Sarà divertente ascoltare le vostre preghiere, osservare la paura attraversare i vostri occhi e attendo con ansia il momento in cui potrò rivedere quel familiare dolore dipingere il volto dell'Angioletto lì tra voi, un Angioletto il cui carattere mi intriga a tal punto, da desiderare la sua presenza nel mio impero. Nascondervi non servirà a molto, se non a rendervi ridicoli ai nostri occhi. Con l'augurio che possiate presto morire, vi saluto,
Michael Radman>> legge.
La mia espressione rimane impassibile dall'inizio alla fine, ma il volto imperlato di sudore di colui che dovrebbe essere mio zio, mi fa scappare una lieve risata, a cui non posso dare un freno.
Molti si voltano ad osservarmi come se fossi pazza, ma ben in pochi sanno che la risata è l'unico modo che conosco per reagire alla tristezza.

"Rivedere quel familiare dolore dipingere il suo volto"
Sentendo queste parole, quasi sento il mio corpo venire risucchiato nella bolla del passato. Riesco anche a percepire le pesanti gocce d'acqua, che ricadono sul mio capo, inzuppandomi i capelli e mescolandosi alle mie lacrime.
Guardo il suo corpo disteso sull'asfalto, ricoperto di sangue, la mia mano posata sul suo ventre e gli occhi di un caldo autunno sbarrati.
Sollevo un solo istante lo sguardo verso la pistola puntata verso di me, guardandola come se fosse stata fino a quel momento l'arma peggiore che potesse esistere, mentre d'un tratto, pare essere diventata solo un giocattolo di plastica.
La osservo, notando di non aver paura di lei, di desiderare quasi di sentire nuovamente quel suono, che, così familiare, come un eco risuona nella mia mente.
Desidero quasi che quella pistola agisca contro di me, mentre l'uomo che la tiene ben impugnata nella mano sinistra, mi osserva con gli occhi vitrei.
Un ragazzo si avvicina a lui, pare frettoloso, sembra agitato, ma il mio udito ode solo un fischio, un suono di cui non riesco a privarmi, che copre le sue parole gridate con rabbia, con timore.
Posa una mano sul braccio dell'uomo, indicando me e successivamente mia madre, mentre le sue labbra ricoperte dalla pioggia continuano a muoversi e i suoi occhi scorrono senza un inizio o una fine lungo la via principale.
L'uomo non desiste, fa per avvicinarsi maggiormente a me, ma il ragazzo si pone difronte alla canna, oscurandomi la vista di quella pistola, di quell'arma divenuta paradossalmente e inspiegabilmente un giocattolo ai miei occhi.
Mi priva di quella visuale, poi avanza, conducendo via con se l'uomo.
Mi domando perché mi abbia risparmiata, perché trovi sbagliato uccidere me, ma non ci abbia pensato due volte a permettere a quell'uomo di fare del male alla mia mamma.
Riabbasso lo sguardo, sentendo il calore del suo sangue mescolarsi con il freddo della sua pelle, alimentato dalla tempesta incombente.
Un fulmine.
Un tuono.
Il mio corpo sobbalza a quel suono, rammentando il proiettile e in quel momento ritorno in me, in quel momento mi accorgo che mai potrà essere davvero un giocattolo quell'arma. Rammento il dolore che può provocare e penso che forse, d'ora in avanti, quella pistola, diverrà per me la metafora di un tuono.

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