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Scappare.
Otto semplici lettere, che combinate in quest'ordine, acquistano un significato tal volta irraggiungibile.
Scappare dalla mia vita, dalla mia famiglia, dal mio passato, dai ricordi.
Tutte cose che non posso fare, tutte opzioni, che gradirei con tutta me stessa, ma terribilmente, dannatamente, fottutamente irraggiungibili.
Non sono solita scappare, il mio carattere richiede pazienza, ma ciò che faccio è sopportare.
Il numero di lettere aumenta di due, ma il dolore che quest'azione provoca, non è neanche lontanamente paragonabile a questo piccolo numero.
Sopporto giorno dopo giorno le grida che esplodono nella mia testa, le grida dei ricordi, quelle che io solitamente, preferisco chiamare demoni.
I miei demoni sono tutto per me, dovrei odiarli, dovrei provare questo forte sentimento nei loro confronti, giusto?
Beh, non è così.
Io non odio i miei demoni, non odio il mio passato, non odio la mia vita.
Non odio niente di tutto questo poiché la colpa non è mia, né del mio passato in se, né della mia improvvisa nascita.
I demoni non sono altro che il ricordo di un dolore, che mi ha cresciuto e che ha modellato la mia anima rendendola più forte, facendole aprire gli occhi e mostrandole come sopravvivere.
Se ora qualcuno provasse a farmi del male, non riuscirebbe e questo perché? Perché i miei demoni mi hanno insegnato a non fidarmi subito, ad osservare le persone, a valutare quanto la loro falsità le renda marce.
Coloro che non presentano tanta falsità, allora meritano un posto nel mio cuore, mentre coloro che provano soddisfazione nel provocare dolore, per me, possono anche andare un graziosissimo posticino che inizia con la f e termina con anculo.
Cosa c'è di male in tutto questo?
Cosa c'è di male nell'essere più forti? Nel sapere di aver superato un dolore tale da scombussolarti l'anima? Nel sapere di aver vinto?
Cosa c'è di male nel ringraziare l'inferno per questa parte positiva e tentare di andare avanti?
È qui si ritorna alla mia frase, quella che un giorno tatuerò nel mio braccio, fiera del fatto che sia mia.
Con tutto questo, io non intendo dire che coloro che sono caduti in battaglia, non meritano la lode.
Loro probabilmente meritano anche il doppio di essa, dell'amore, della memoria e dell'affetto.
Loro meritano ciò che non hanno mai avuto e devono pretendere di riceverlo, ovunque siano, di qualsiasi costellazione appartengano, di qualsiasi parte dell'inferno o del paradiso occupino.
Loro meritano di ricevere affetto, meritano un sorriso e una dolce frase, meritano di sapere quanto tutto il loro passato non fosse giusto. Nonostante quel piccolo lato positivo fosse celato ai loro occhi, loro meritano.
Meritano tanto.
Meritavano un abbraccio, meritavano qualche carezza, meritavano un bel futuro.
Ma soprattutto, più di ogni altra cosa al mondo, meritavano di morire solo dopo aver gridato a quel fottuto specchio quanto fossero fantastici, quanto il loro sorriso fosse stupendo e quanto i loro occhi fossero ricchi di storia.
Storia esatto.
Non merda, non pensieri autolesionistici, non un passato che li "rendeva spregevoli", perché non è così.
Un passato provocato da un qualcosa non determinato da noi, non ci rende spregevoli, ma fa la storia, ci rende speciali.
Noi facciamo la storia.

Io faccio la storia.
Io sono speciale.

<<A cosa pensi?>>
Sollevo le palpebre e mi volto verso Axel, scrutando il suo viso con un'espressione solidale.
Pensare talvolta riesce ad addolcirmi, a colmare il vuoto che sento dentro di me, a mostrarmi un piccolo spiraglio di luce.
<<Sarebbe assurdo entrare in un cimitero e lasciare fiori ad ogni anima?>> gli domando io osservando le prime luci dell'alba senza rispondergli, ma accennandogli qualche mio debole pensiero.
I suoi occhi si distolgono per qualche secondo dalla strada e noto un leggero guizzo fra le sue labbra, come se stesse trattenendo un sorriso.
<<Assurdo è il mio secondo nome>> dice poi, con voce terribilmente seria, guardandomi come se stesse cercando di comprendere un difficile algoritmo, come se stesse osservando un quadro alla disperata ricerca del suo significato.
Sollevo gli occhi al cielo, abbassando il finestrino e sporgendo la testa leggermente fuori per sentire il vento fresco sulla mia pelle.
<<Perché mi hai fatto salire sulla tua auto?>> gli domando, mentre l'auto prende velocità, percorrendo le strade di Miami.
<<Non voglio averti fra i piedi, ma in un modo o nell'altro sei sempre presente. Non ti interessi a me, ma a volte decidi di farlo, utilizzando strani metodi che, in ogni caso, non riesco a comprendere. Poi ti allontani e prendi a pugni quello stronzo rischiando di farti male>> ragiona a voce alta, perdendo la sua calma e mostrando ciò che realmente prova al mio fianco, stringendo le mani sul volante per il nervoso e aumentando di conseguenza la velocità.
<<Io sono fatta così, non provare a comprendermi, potresti perderti>> sospiro, seria più che mai.
<<Voglio che stai lontano da me e da questa merda!>>
<<Sono io quella merda>> replico arrabbiata, ricordandogli con chi sta parlando.
<<Non voglio averti fra i piedi, non sei nessuno per guardarmi in quel modo cazzo>> sbotta, riferendosi sicuramente alla lotta e sterzando rapidamente per poi scendere dall'auto.
Lo guardo con una smorfia di disappunto, mentre impreca ad alta voce fra i passanti tranquilli di Miami Beach, con il volto ricoperto di lividi e sangue.
Vedo una madre stringere a se il suo bambino e passare oltre senza perdere di vista Axel, impaurita al pensiero che possa essere un pazzo.
Scendo dalla macchina anch'io, entrando subito dopo al posto del guidatore e parcheggiandola al meglio, per poi chiuderla con tutta calma e raggiungere il ragazzo dai capelli castani e i muscoli tesi dalla rabbia.
<<Sono felice di riempire il tuo cuore di gioia con la mia presenza, ma ti chiedo di contenerti sai, potresti faci tutti emozionare con i tuoi sorrisi e le tue dolci parole>> gli dico sarcastica, posando una mano sul suo braccio con un finto sorriso.
Axel su volta lentamente, con gli occhi iniettati di sangue e rabbia, ed io continuo a sorridergli con nonchalance, sperando che le persone attorno a noi la smettano di fissarci.
<<Quella è una Milton, l'orfana scomparsa per anni>> sento dire dalla madre di poco fa a suo figlio, che con le guance rosee e delicate, mi osserva fingendo che gli importi qualcosa.
<<Esatto signora, per questo motivo penso che sia meglio per lei allontanarsi all'istante, non sia mai quanta rabbia repressa possa contenere una Milton>> le consiglio, sfoggiando anche a lei il mio sorriso.
La vedo rabbrividire, stringere più forte il bambino e allontanarsi a passo spedito lontano da noi, senza guardarsi più indietro.
<<Sei una stronza!>>
<<Suvvia Axel, così mi farai arrossire!>> sospiro, sventolandomi una mano difronte al viso con fare teatrale.
Lui scuote la testa rassegnato e, finalmente, la smette di inveire contro qualsiasi oggetto si trovi davanti a lui.
<<Hai bisogno di una passeggiata per rasserenarti o posso tornarmene a casa?>> gli domando.
<<Innanzitutto smettila di sorridere>> mi dice sollevando gli occhi al cielo <<E no, non voglio passare un minuto di più con te, sfigata>> continua poi, superandomi e raggiungendo nuovamente la sua macchina.
Trattengo la voglia di tirare un pugno sul suo bel faccino e lo seguo in auto, con le vene cariche di adrenalina.

You'll be MineWhere stories live. Discover now