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Tamburello le dita sopra lo schermo del telefono, ad un ritmo rapido e continuo, senza neanche una minima alterazione, continuando ad osservare quell'aggeggio elettronico da minuti ormai.
Mi trovo sul sedile posteriore di un auto, per niente conscia del motivo, accompagnata da quelli che credo essere giocatori di football fuori di testa, i quali gridano con la testa fuori dai finestrini abbassati, esultando per la vittoria di una partita a me ignota.
Ero fisicamente presente sulle tribune, fino a soli pochi minuti fa, affiancata da una Summer a dir poco esaltata e strepitante, ma non lo ero affatto con la mente, poiché, mentre i sospiro, le grida o i mugugni degli spettatori e le loro voci assordanti aleggiavano attorno a me, io sentivo solo il rimorso per quanto accaduto poco prima, coronato dal pensiero dell'uomo che, volente o nolente, ha capovolto la mia vita.
<<Dove siamo?>> domando finalmente a Summer, posando una mano sul suo polso confusa, non appena la macchina accosta e lei apre lo sportello.
La sento sospirare, poi si volta verso di me, con le guance ancora imbrattate dai colori della scuola e un cipiglio sul volto.
<<Non hai ascoltato una parola di quello che abbiamo detto>> sostiene, spostando la gamba sinistra fuori dall'auto <<C'è un falò sulla spiaggia, per festeggiare la vittoria>> riprende a parlare, uscendo finalmente dalla macchina e rabbrividendo un poco a contatto con la fresca aria serale.
<<Vittoria?>> domando leggermente confusa, per niente interessata a quegli avvenimenti e impegnata, più che altro, a controllare le mie emozioni, in modo da non provocare qualche danno <<Ah, di Football, giusto!>> borbotto poco dopo, uscendo anch'io dall'auto, ma non senza prima lasciarmi scappare uno sbuffo.
Chiudo lo sportello delicatamente, voltandomi poi verso le cause di tutto questo trambusto e osservando i loro corpi avvolti da vestiti del tutto differenti dalle tenute da football.
<<Quando si sono cambiati?>> domando, stupendomi io stessa di quanto sia eccezionale la mia abilità di estraniarmi dal mondo intero.
È come se dagli spalti, io avessi aperto gli occhi e mi fossi ritrovata all'interno della macchina, circondata da adolescenti in pieno fermento.
<<Dopo la partita?!>> sbuffa con tono ovvio, per poi trascinarmi con se al seguito dei ragazzi, dei quali non ho ancora avuto interesse di verificarne l'identità.
Credevi seriamente che sarebbero andati ad un falò con la spiaggia con il casco, la visiera e il parapalle?
Sollevo gli occhi al cielo al commento derisorio della mia coscienza, sempre pronta a farmi notare quanto poco mi importi degli avvenimenti al di fuori del mio mondo.

Mi ritrovo a camminare fra le persone presenti, mentre l'aria fresca si scontra con le mie gambe, nude a causa dei semplici pantaloncini in pelle indossati qualche ora fa.
Rabbrividisco dal freddo a quel brusco contatto, ma taccio, liberandomi piuttosto dalla presa ferrea di Summer e proseguendo per conto mio.
La spiaggia pare ospitare solo noi studenti, come posso notare dalle numerose tende da campeggio, riposte lontano dalla riva e attorno ad un fuoco.
Vedo le luci colore rosso e arancio dell'Elemento che più mi caratterizza, illuminare i volti dei presenti, che ridono e ballano al ritmo di una musica a me sconosciuta, rovinando l'atmosfera quieta e magica di questo luogo.
Da lontano riconosco mio cugino, intento a gareggiare con un ragazzo, bevendo bicchieri su bicchieri di alcolici e accanto a lui Connor litigare con qualcuno, posto con le spalle rivolte verso di me.
Quel qualcuno è più alto di me di circa dieci centimetri, ha i capelli castani tagliati in un ciuffo spettinato, le cui ciocche ricadono spesso sulla fronte, ed il suo corpo è avvolto da dei semplici jeans neri un po' larghi e una camicia dello stesso colore, le cui maniche sono ripiegate sugli avambracci, mostrando i segni di tatuaggi che ancora non ho avuto modo di ispezionare.
Quando finalmente riesco a distogliere lo sguardo da Axel, stringendo i denti e dandomi ripetutamene della cogliona, osservo i ragazzi con i quali io e la bionda siamo arrivate, rendendomi immediatamente conto di non conoscerne neanche uno, ma di cogliere perlomeno un volto già visto, appartenente al ragazzo di questa mattina, che tiene il suo braccio destro posato sulle spalle della mia amica.
Sollevo un sopracciglio sempre più stupita da me stessa e dalla mia mancata attenzione, scostandomi da uno dei suoi amici, che ora noto essere alquanto interessato ai pantaloncini che indosso, piuttosto che al falò a pochi metri da noi o alla distesa del mare.
Decido di incamminarmi a passo più rapido verso il falò, raggiungendo poco dopo il tavolo dove mio cugino pare aver deciso di entrare in coma etilico.
Lo sfidante difronte a lui sussulta, quando lo vede afferrare un altro bicchiere rosso di plastica e bere senza alcuna smorfia il quindicesimo shot di vodka, per poi riporlo con forza accartocciato insieme agli altri precedentemente bevuti.
<<Credo possa bastare>> sussurro ormai accanto a Tyler, concentrata però sul volto pallido del ragazzo difronte a lui.
I suoi capelli neri sono infatti incollati alla fronte a causa del sudore e gli occhi scuri vagano da un punto ad un altro, non sapendo quasi dove posarsi, mentre il corpo tremola tentando di muoversi, ma privato di ogni equilibrio. Viene sorretto solo poco dopo da una sua amica, chiaramente in pensiero per lui, che prontamente afferra il bicchiere fra le sue mani, posandolo bruscamente sul tavolo in legno.
<<Sono d'accordo>> conferma, continuando ad osservare il suo amico con il labbro stretto fra i denti dall'agitazione.
Tyler sorride vittorioso, battendo il cinque a persone mai viste prima e barcollando poi verso di me con i capelli scompigliati e gli occhi lucidi dall'alcol.
<<Cugina!>> esclama, fiondandosi fra le mie braccia e stringendomi come se fossi un orsacchiotto di peluche.
<<Toglimi le mani di dosso, ho una fottuta pistola nella fibbia>> lo minaccio, rimanendo immobile difronte a quel gesto eccessivo.
Detesto ogni tipo di contatto ravvicinato, gli unici momenti in cui accetto un abbraccio sono davvero pochi e riservati a persone come lui. Per questo motivo mi lascio scappare un piccolo sorrisetto subito dopo, sapendo che neanche da brillo, ubriaco o completamente fatto oserebbe torcermi anche un solo capello.
Per questo motivo è fra coloro a cui riservi il tuo raro affetto.
<<Dov'è andato Connor?>> domando poi, notando subito la mancanza di Axel, che fino a poco prima parlava animatamente con lui.
Mi domando cosa mi importi e stringo le mani facendo dei respiri profondi, scuotendo poi la testa come a scacciare una sensazione.
Una sensazione leggera sulle mie labbra, come il ricordo della pressione morbida esercitata dalle sue solo qualche ora prima.
<<Era qua>> comincia a parlare mio cugino, guardandosi poi intorno pensieroso, cercando forse il suo volto fra i tanti presenti.
<<Senti non importa, devo dirti una cosa>> aggiungo immediatamente, riuscendo finalmente a recuperare il senno e decidendo di approfittare della loro momentanea assenza. Mi ritrovo pronta a sbloccare lo schermo del telefono, ora stretto nella mia mano sinistra quasi fosse un'arma, per mostrargli il messaggio.
Sollevo il telefono verso di lui, sentendo un rapido e gelido brivido scorrere lungo la spina dorsale, ma proprio in quel momento, Mason si avvicina a noi e, dopo avermi rivolto un occhiolino, porta via mio cugino, dicendo qualcosa che alle mie orecchie, a causa della musica ad alto volume, non giunge.
Mi lascio scappare un sospiro carico di indignazione, guardandomi ora intorno disgustata dalla marea di gente ammucchiata attorno al falò, e dai loro corpi incollati.
Mi chiedo come facciano a voler stare così tanto vicini, a farsi toccare in quel modo da persone appena conosciute, a farsi trascinare via da qui in un luogo più appartato, come se realmente potessero fidarsi.
Tu non puoi fidarti nemmeno di chi ti conosce, ma non porti queste domande. Loro non sanno, loro forse sono ancora ignari di quanto la vita sia differente e la fiducia debba essere guadagnata con il sangue e il sudore.
So già quale sarebbe la mia reazione, se qualcuno si permettesse di toccare il mio corpo in quel modo, so già quanto poco mi ci vorrebbe per risolvere la questione, per sfuggire al timore.
Mi volto, notando alle mie spalle altri ragazzi, intenti a ridere fra loro come se non ci fosse un domani, tanto che i loro polmoni sembrano voler sgusciare via da un momento all'altro, cosa che penso sia scaturita dall'alcol circolante nei loro corpi.
In quel momento mi accorgo di essere circondata, di dover quindi farmi coraggio e passare fra i corpi sudati dei presenti, per riuscire a raggiungere un posto più appartato e silenzioso.
Trattengo il fiato, come se questo bastasse a rassicurare il mio corpo e la mia mente, mentre sento le voci delle persone troppo vicine, le loro braccia che strisciano contro le mie, in senso di soffocamento che appare nel momento stesso in cui mi ritrovo bloccata fra loro, facendomi spazio per passare quasi con forza, tanta è la rabbia che i loro contatti soffocanti provocano in me.
Sento la testa girare quando finalmente vedo il bancone, formato da semplici tavoli in legno, riposti l'uno accanto all'altro, ricoperti poi da un telo bianco.
Poso le mani su di esso e respiro a fondo, chiudendo gli occhi con forza nel percepire il bruciore sulla mia pelle dopo ogni colpo, gli squarci presenti su di essa animarsi, mentre il vetro penetrava facendo sgorgare il sangue copioso, che la macchiava interamente, avendo poi il tempo di seccarsi su di essa. Solo dopo potevo finalmente strofinarlo via con la forza, fino ad arrossare la mia pelle a contatto con la spugna viola usurata, ormai rossa dal troppo sangue. Potevo lavare la mia pelle solo quando le grida e il tormento finivano, lasciando spazio ad un grande, profondo e macabro silenzio, interrotto solo dal rintoccare delle lancette di quel maledetto orologio a muro.

You'll be MineWhere stories live. Discover now