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Adocchio i fari della Porche 911 Carrera alle nostre spalle, guardando per l'ennesima volta lo specchietto retrovisore della macchina e mordendomi il labbro ogni qual volta il suono di un proiettile echeggia nell'aria.
Sento il cuore martellarmi nel petto e le mani sudare, mentre l'immagine di mia madre, sanguinante sull'asfalto, si intervalla a quello di Axel, al volante, mentre vaga a gran velocità per le strade di Miami, perdendosi nella periferia.
D'un tratto un camion compare all'improvviso, sbarro gli occhi e sento il suo braccio pararsi difronte al mio petto, come ad attutire l'imminente urto.
<<Accelera>> grido, sapendo che frenare ormai non servirebbe a nulla e mentre il suo piede destro preme al completo l'acceleratore, il motore della Maserati ruggisce pieno di vita, facendola scorrere rapida come l'olio sull'asfalto. Sul mio volto si stampa un sorriso sincero e carico di adrenalina, la quale aumenta quando la nostra auto scampa per un pelo l'imminente impatto.
Faccio appena in tempo a scorgere per l'ultima volta quei dannati fari dallo specchietto retrovisore, che la Porche entra in collisione con il camion al posto nostro.
La vedo ribaltarsi più e più volte su se stessa e uscire fuori strada, piombando sui campi adiacenti.
Axel sospira, mentre io scoppio a ridere, continuando a guardare quell'auto da lontano, per poi deviare lo sguardo verso il ragazzo accanto a me, che ora mi fissa con le pupille dilatate.
<<Mai frenare se hai un bestione come questo ricorda>> gli dico saggia, tamburellando le dita sul sedile della macchina.

<<Dove stiamo andando?>> gli domando incuriosita, dopo minuti trascorsi nel più assordante dei silenzi, accompagnato solo dall'invidiabile suono prodotto dal motore e dalle turbine e dal rumore del vento, smosso dalla rapidità della vettura.
I miei morbidi ricci svolazzano da una parte all'altra, cosa che solitamente mi fa imbestialire, ma che ora a mala pena noto, intenta a godermi quel tocco fresco sulla mia pelle dal colore Mediterraneo.
<<Lontano da qui>> risponde semplicemente, osservando di sottecchi il suo telefono illuminarsi per l'arrivo di una notifica.
Sollevo gli occhi al cielo nell'udire quella risposta, ma decido di non esprimermi, conscia del fatto che il desiderio di mandarlo a fanculo sia elevato.
Lo sento sospirare, poi prende il suo iPhone dandogli una rapida occhiata, per poi spegnerlo e riporlo nella tasca dei pantaloni, stringendo la mascella.
Sento anche il mio telefono vibrare e quando guardo lo schermo, noto una decina di notifiche, tutte provenienti dai membri della gang, perfino da alcuni di cui conosco il nome, ma non il volto.
<<Dobbiamo allontanarci da Miami per qualche giorno, stanno andando alla ricerca dei nostri rifugi>> leggo a voce alta il messaggio di mio zio, sbuffando <<Sapessero quanti ne abbiamo, spero solo che siano abbastanza al sicuro, non voglio altri casini>> commento, non appena Abigail mi invia la foto di tre auto alle loro calcagna, con tanto di targa e teste di cazzo al volante.
<<Chi l'avrebbe mai detto>> sospiro schifata, passando in rassegna alle chat successive.
<<Cosa?>>
<<Che i cazzi avrebbero imparato a guidare>> rispondo ovvia, lasciandomi scappare una breve risata, che nonostante tutto cessa, quando l'ennesimo numero sconosciuto mi invia un messaggio.
Clicco sulla notifica e lascio che la frase da lui composta si palesi difronte ai miei occhi, per poi socchiudere gli occhi e stringere il telefono fra le mani, conscia che prima o poi rischierò di lanciarlo dal finestrino e passarci sopra con la macchina.
"Non preoccuparti principessa, ho tutto sotto controllo".
Mi ritrovo a trattenere a stento un conato di vomito, nel leggere quel dannato soprannome impresso sullo schermo.
<<Ho una casa qui a Hollywood>> mi informa finalmente il misterioso ragazzo al mio fianco, indicandomi il cartello stradale, indicante proprio il luogo da lui citato.
<<Non sapevo avessi una casa qui>> commento stupita, sbarrando gli occhi alla vista di quel luogo tanto vicino alla nostra città, ma mai visto prima.
<<I miei nonni abitavano qui>> dice solo, stringendo le mani sul volante e frenando quando una madre e una bimba, attraversano sulle strisce mano nella mano, guardandoci un istante per ringraziarci.
Mi si forma un nodo in gola nel vedere le loro mani unite, come al solito, ma quando l'auto riparte faccio finta che non sia successo nulla, che ogni stupida scenetta familiare, non sia un qualcosa di cui risento.
<<Staremo lì per un paio di giorni, almeno finché gli altri non ci faranno sapere qualcosa>> continua a dirmi il moro, accostando difronte al cancello di un grattacelo , per poi afferrare un piccolo telecomando dal portaoggetti.
Lo pone difronte a se e, tramite un pulsante apposito, ci permette l'ingresso.
Si dirige quindi verso uno dei parcheggi liberi, tirando finalmente il freno a mano e togliendo le chiavi dal quadro.
Mentre ci dirigiamo verso l'entrata ammetto di sentirmi leggermente imbarazzata: mi sta ospitando in un luogo a cui tiene molto, solo perché in un certo qual modo lavora per me.
Fingo di controllare i messaggi sul telefono quando entriamo nell'ascensore, ma essendo in ogni lato composto da specchi, decido di scrivere rapidamente a Summer.
Improvvisamente Axel sfila il telefono dalle mie mani, ponendoselo nella tasca anteriore dei pantaloni e bloccando prontamente le mie braccia per i polsi.
<<Sei troppo aggressiva>> sostiene, tenendo stretta la presa.
<<Non puoi inviare messaggi, anzi dovresti spegnere il telefono, potrebbero rintracciarci>> sbuffa, spiegandomi il suo gesto.
<<D'accordo, ora puoi darmelo>>
<<Qui in ascensore?>> mi chiede, separandosi lentamente da me e pigiando l'ultimo pulsante nella parete: il numero '20'.
<<È forse un reato?>> sollevo un sopracciglio scocciata, per poi osservare i pulsanti illuminarsi man mano.
<<Tecnicamente si, ma non è importante. Più che altro non pensavo fossi così impaziente>> commenta, quando udiamo un debole suono, che indica l'arrivo al piano prestabilito.
Dal monitor presente accanto ai pulsanti, compare una tastiera elettronica e al suo fianco una serratura, nascosta precedentemente da uno sportellino apposito.
Axel digita un codice sullo schermo, nascondendolo con la mano, per poi, una volta accettato dal sistema, inserire la chiave nella serratura.
<<Ma che diamine? Sei un coglione!>> esclamo inebetita, uscendo immediatamente da quell'ascensore, quando le sue porte si aprono.
<<Wow>> mormoro, arrestando completamente i miei passi, quando mi accorgo di essere già nell'appartamento.
Mi guardo intorno, notando incuriosita quanto il soggiorno e la sala da pranzo comunicanti siano vasti, per poi osservare che ogni stanza è delimitata da una porta in vetro scorrevole, rendendo l'intero appartamento come un'unico open space.
Lascio andare lo zaino che portavo con me sul pavimento, correndo come una bambina verso la vetrata che dà all'esterno di questo grattacielo, osservando meravigliata il panorama.
Sono le sette del mattino ormai, il Sole è sorto da circa una mezz'oretta e i suoi raggi illuminano le strade già gremite di gente di Hollywood.
Al di là di esse, sul fondo di questo panorama, il mare delimita la graziosa immagine, che come una tela si mostra ai miei occhi.
Il mare da questa prospettiva pare combaciare con il cielo, come se fosse un prolungamento di esso, come se finalmente, dopo un lungo osservarsi, siano riusciti a ricongiungersi.
<<È bellissimo!>> esclamo sorridendo, non riuscendo a smettere di osservare quella meraviglia.
<<Mia nonna desiderava vivere al di sopra di tutti, senza che inutili pareti colorate limitassero il suo modo di vedere il mondo, di ammirarlo. Perciò ha scelto il piano più alto di un grattacielo, convinta che in tal modo la sua mente sarebbe rimasta libera>> mormora, dirigendosi verso una camera, posta nel lato opposto a questo.
Non avevo mai visto un appartamento ricoprire un intero piano e avere al centro un ascensore, è davvero assurdo, ma ammetto che l'eleganza in questo luogo non manca affatto.
Per giunta ogni ala è gremita di piante, riposte sul parquet chiaro che riveste il pavimento, sui ripiani delle numerose librerie, difronte alle vetrate e perfino a coronarne gli angoli.
<<Tu dormirai qui, io andrò nel divano-letto in soggiorno. Dovrò entrare per i miei abiti, sarà inevitabile. Se devi cambiarti o fare il bagno puoi sempre premere questo- dice, mostrandomi uno dei tasti situati in ogni stanza- serve ad oscurare le vetrate, insomma grazie a questo non rischierai che io ti veda nuda, quindi puoi anche non premerlo>> commenta, facendomi sollevare gli occhi al cielo per l'ultima parte.
<<Puoi dormire tu qua, a me va bene il divano>>
Non che sia un sacrificio: quel divano è davvero enorme, perciò sono più che sincera nel sostenere che non ci sia alcuna differenza.
Non risponde, piuttosto si allontana, dirigendosi verso la cabina armadio oscurata e controllando forse gli abiti al suo interno.
Esce da lì con un cambio pulito, per poi dirigersi verso il bagno e oscurare anche le sue pareti in vetro.
<<Dopo andiamo a prenderti qualche vestito>> borbotta, prima di chiudere l'open-space alle sue spalle, girare la serratura e far scorrere l'acqua nella doccia.
Nell'udire quel suono mi impongo di non pensare al suo corpo bagnato e a- basta, Dio Alaska contieniti!
Scuoto la testa imbronciata e mi sdraio sopra il letto matrimoniale, osservando il soffitto sempre in vetro sopra di me.
Non sono affatto abituata a tutto questo, ma per alcuni giorni andrà bene: in fondo non è così male, è solo diverso, ma in senso positivo.
A poco a poco, mentre ancora il delicato suono dell'acqua culla il mio udito, le palpebre si chiudono ed il sonno mi accoglie.

You'll be MineWhere stories live. Discover now