38. Autogestione

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Mina

«Non ci posso credere, mi sono svegliata di nuovo tardi. Cazzo!»

Spingevo Luca lungo il marciapiede appena in pendenza, cornetto al cioccolato in una mano e zaino dondolante su una spalla sola.

"Chissà se a maggio scorso faceva già questo caldo?"

Sudavo nella mia felpa leggera con la stampa di Resident Evil e fingevo di non accorgermi della misera fatica che impiegavo nello spingere la sedia a rotelle e il fragile corpo che la occupava. Luca era dimagrito molto nelle ultime settimane. Il tempo correva rapidamente, come le nuvole dei Subsonica che martellavano negli auricolari che io e Luca ci dividevamo lungo il tragitto.

«Strano che Tom non ti abbia buttato giù dal letto», commentò.

«In realtà lo ha fatto, ma è dovuto partire prima per organizzare l'aula e io mi sono addormentata di nuovo. Il colmo, proprio l'unico giorno dell'anno in cui sono contenta di entrare in quella scuola di merda.» Ingurgitai l'ultimo pezzetto di colazione e aumentai la velocità.

«Credo di non aver mai preso parte a un'autogestione, sai?» fece lui con entusiasmo.

«Perché sei un secchione del cazzo e hai saltato tutte quelle degli scorsi anni per studiare.»

«Quale sarebbe il programma di oggi?»

Finsi di controllare l'ora su un orologio da polso immaginario. «In questo momento Tom dovrebbe aver già terminato di legare i professori ai pali in legno. All'intervallo appiccheremo il fuoco, infatti ho lo zaino pieno di marshmallows da far scaldare intorno al falò.»

«Hai mai pensato di intraprendere una carriera come cabarettista di Zelig?»

«Sicuro, dall'anno prossimo mi troverai in televisione.»

Serrai un poco la mascella e sperai che la battuta infelice si nebulizzasse nell'aria. L'anno dopo... l'anno dopo...

«Già», fu il suo laconico commento. Ok, non si era nebulizzato proprio un bel niente.

Mi schiarii la voce, che gracchiava come avessi della ghiaia incastrata. «Quando inizi la terapia? Domani?»

«Sì, non te l'ha detto Tom?»

Tasto dolente. «Tom non è di molte parole negli ultimi tempi.»

Luca voltò la testa per sbirciarmi da sotto la visiera del cappellino. «Mi sono gettato a capofitto in un programma sperimentale, tipo cavia da laboratorio. Pensano di regalarmi un paio di anni in più. In cambio, però, dovrò stare in ospedale cinque giorni a settimana. Mi tengono lì perché sarà una terapia più invasiva della chemio. Mi passi l'acqua dallo zaino?»

Ci fermammo davanti alla gelateria ZeroGradi, così da coprirci dal sole sotto il loro gazebo. I semi dei tigli volavano nell'aria come piccoli elicotteri che precipitavano sul marciapiede. Un cane si avvicinò, convinto di poter pisciare sulla ruota della sedia, così lo spinsi via col piede. La vecchia padrona mi scoccò un'occhiataccia e io gliela resi pari pari.

«Che succede con Tom?» Presi la bottiglietta e la infilai nel suo zaino.

«Niente, va tutto bene.»

«Mina, non mi prendere per il culo.»

«Da quando dici le parolacce? Non è da te.»

«Io dico sempre parolacce, solo non con la frequenza tua. E non cambiare discorso.»

Sbuffai. «Tom è soltanto un po' strano ultimamente, niente di che.»

«Si preoccupa troppo.»

OUTSIDERSWhere stories live. Discover now