39. La fazione perdente

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Tom

Linoleum grigio rigato dalla gomma delle scarpe. Le mie Nike si lamentavano a ogni passo lungo il corridoio del reparto, illuminato in fondo da un'unica finestra dal vetro impolverato. Nemmeno un minuto dopo il messaggio di Luca, ero salito sull'auto di Melania per correre da lui. Mi chiedeva di raggiungerlo, aveva bisogno di dirmi una cosa importante.

Ovviamente, io avevo finito per pensare al peggio, dato che era stato ricoverato per il secondo ciclo della cura sperimentale. Avevo fatto delle ricerche sui farmaci che gli somministravano, grazie anche al materiale che mi aveva fornito suo padre. Negli Stati Uniti, dove era possibile compiere studi su larga scala, si erano riscontrati miglioramenti nella vita quotidiana dei pazienti malati, una parziale riduzione delle cellule tumorali nelle forme più aggressive e, in un dodici per cento dei casi, la guarigione.

Io ci credevo e mi aggrappavo a quel numero pari con tutta la mia tenacia.

Luca forse si era arreso, ma io stavo nella fazione della sua famiglia: la fazione della speranza. Non tutto era perduto e le possibilità di uscire dall'incubo esistevano. Non ero disposto a gettare la spugna.

Le giornate di primavera avevano preso ad allungarsi, nel tardo pomeriggio c'era ancora il sole alto in cielo. L'orario delle visite stava per terminare quando arrivai davanti alla porta della sua stanza. Era chiusa. Entrai di soppiatto, pensando che si stesse riposando, ma mi bloccai sulla soglia con un gran gemere delle suole sul pavimento. A quattro zampe sul lettino, una donna dai lunghi capelli castani se ne stava avvinghiata al mio amico. Cercai di capire su quale opzione interpretativa fare affidamento: Luca e sua madre ci davano dentro con un incesto degno del peggior porno di serie B, oppure il mio amico stava soffocando e una generosa ragazza di passaggio gli stava facendo la respirazione bocca a bocca.

A giudicare dalla durata delle insufflazioni, e dal paio di mani aperte a ragnatela sul culo di lei, capii di non aver azzeccato nessuna delle due opzioni.

«Ma che?!» seppi soltanto dire.

Con un grido soffocato, la ragazza rotolò di lato e si mise in piedi, tentando di ricomporsi in fretta. Luca tastò alla cieca il comodino alla ricerca degli occhiali. Li inforcò e aprì bocca solo quando mi mise a fuoco. «Credevo fossero i miei. Perché non hai bussato?»

«L'ho fatto, per ben due volte, ma forse eravate troppo impegnati nella vostra lezione di snorkeling per sentirmi.»

Luca accarezzò il braccio della ragazza che, a testa bassa, controllava di aver accoppiato correttamente bottoni e asole della camicetta. «Fede, ci daresti solo due minuti?»

Con i capelli sciolti, il trucco marcato e l'assenza degli occhiali, faticai a riconoscere la giovane infermiera che spesso vedevo bazzicare nella sua stanza. Lei annuì, tutta rossa in volto, e filò fuori dalla porta senza alzare lo sguardo su di me.

Luca iniziò a parlare in fretta non appena la porta si richiuse. «Mi devi dare una mano!»

«A me sembrava che te la cavassi alla grande.»

«Non in quel senso, idiota. Devi farmi da palo fuori dalla porta.»

Incrociai le braccia al petto. «Sono corso qui perché credevo fossi in fin di vita, o che fosse successo qualcosa di grave, e ora scopro che ti servo solo da palo mentre tu te la spassi con la bella infermiera?»

Raddrizzò la debole schiena e aprì un sorriso da orecchio e orecchio. «Bella, vero?»

Scrollai la testa, ma non mi riusciva di restare serio. «Da quanto va avanti questa storia tra voi due?»

«Non ho tempo di prendere un tè e aggiornarti sui pettegolezzi.» Alzò gli occhi al cielo, stringeva il lenzuolo tra i pugni chiusi. «Dammi dieci... anzi no, quindici min... anzi no, venti minuti senza che nessuno entri da quella dannata porta e poi ti racconterò tutto mentre ti metto lo smalto alle unghie dei piedi, ok?»

OUTSIDERSWhere stories live. Discover now