33. Ma che cazzo mi è saltato in testa di fare?!

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Tom

«Siamo arrivati?»

«No.»

«Siamo arrivati?»

«No.»

«Siamo arrivati?»

Esasperato da quella mosca irritante che ero stato costretto a portarmi appresso pure sull'autobus, le strinsi il ginocchio con forza fino a zittirla. «Se non la smetti immediatamente, ti riporto in camera in hotel.»

Strinse le labbra e allargò le narici per evitare di mostrarmi quanto le stessi facendo male. Poi, spingendosi vicino al mio viso con un'espressione maliziosa e buffa allo stesso tempo, sussurrò: «Ti piacerebbe portarmi in camera, eh?».

"Non sai quanto..."

Le passai un braccio sulle spalle e l'avvicinai per parlarle all'orecchio, mentre l'autobus semideserto ci accompagnava alla nostra prima meta della vacanza, arrancando tra le buche dell'asfalto lasciate dall'inverno. «Se non avessimo avuto un orario da rispettare, avrei chiuso la porta della nostra stanza e avrei gettato la chiave dalla finestra.»

Restò a bocca socchiusa, il respiro bloccato a metà. Non si era aspettata che non sarei stato al suo gioco, ma che ne avrei iniziato uno tutto mio. «Vuoi sapere che cosa ti farei se fossimo lì in questo momento?» Le accarezzai la spalla e cercai con la punta delle dita la porzione di collo lasciata scoperta dalla sciarpa. Per fortuna il mio giubbotto piegato sulle gambe mi copriva a sufficienza. Avevo passato le ultime ventiquattro ore con l'alzabandiera continuo all'idea che avrei trascorso due notti intere solo con Mina, lontano chilometri da Melania e dal suo vizio di alzarsi di continuo per andare al bagno.

«Ehm, no...» Si scostò con un brivido. «Direi che magari me lo fai sapere dopo, oppure qui faccio un lago sul sedile.»

La baciai sotto l'orecchio, ridevo mentre lo facevo. Sempre diretta e con la battuta pronta in canna. Impossibile evitarle di entrarmi nel cuore.

L'autobus iniziò a rallentare e la voce rauca dell'autista ci invitò a scendere perché era la nostra fermata. Quando eravamo saliti avevo dovuto chiedergli di avvisarci quando fossimo arrivati, e lo avevo fatto tenendo le mani sulle orecchie di Mina per impedirle di rovinarmi la sorpresa. Lui ci aveva guardati con un misto di confusione e pietà per due giovani idioti, ma alla fine aveva acconsentito.

«Ok, ora siamo arrivati davvero», sentenziai.

Schizzammo giù sul marciapiede sgangherato, pieno di crepe ed erba. L'aria era fredda, la sentivo risalire su dal giubbotto. O forse era un brivido di paura, molto più probabilmente. Mina guardò davanti a sé. «Se volevi venire in mezzo alla campagna sperduta a fare un pic-nic, forse era meglio se portavamo una tovaglia a quadri e un cestino in vimini con il pranzo.»

«Perché proprio quella a quadri?»

«E che ne so. Nei film usano sempre quella e il cestino in vimini. Se no, non è un vero pic-nic, credo. Allora, perché mi hai portato qui? Vuoi uccidermi e gettare i miei resti nel fosso?»

Ignorando le sue parole, la feci voltare per mostrarle l'edificio che sorgeva dal lato opposto della strada. L'hangar era aperto, riuscivo a scorgere un piccolo aereo dall'aria malandata a riposo, e la pista di decollo se ne stava grigia e silenziosa sotto un cielo plumbeo. Ogni tanto appariva qualche solitario raggio di sole e sperai che il tempo non rovinasse quella giornata.

Mina lesse il cartello sopra il cancello che permetteva di accedere all'area. «Cielo e terra... Che cos'è? Non è che per caso mi porti su un aliante come Christian Grey?» Mi sfidò a braccia conserte. «Guarda che sarebbe ben poco originale e, per la cronaca, l'aliante vorrei guidarlo io. Non mi faccio trasportare da te per nulla al mondo.»

OUTSIDERSWhere stories live. Discover now