32. Un buco nello stomaco

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Mina

Come capitava tutte le mattine prima di un evento tanto atteso – che fosse per una vacanza nella vicina Liguria, una giornata in piscina o la mattina di Natale –, il giorno della gita a Innsbruck mi alzai prima di tutti. La partenza del pullman davanti a scuola era programmata alle sette, ma io alle cinque avevo già gli occhi spalancati a sondare il soffitto. Tom, invece, ancora russava beatamente, come nulla fosse. Io stavo iniziando ad annoiarmi, avvolta tra le lenzuola con il suo fiato bollente sul collo, così presi a spingerlo, puntellando i piedi sul suo fianco per svegliarlo. Dopo una lunga serie di grugniti, si decise a svegliarsi del tutto solo nel momento in cui finì col culo per terra. Accettai passiva la vagonata di insulti conseguente – sapevo di meritarmela –, ma per lo meno iniziammo a prepararci insieme. Ero in fibrillazione, adoravo le gite!

Quando uscimmo di casa, io con il borsone della pallavolo ben stipato di abiti invernali per l'Austria e Tom con il trolley che usava per i voli oltreoceano, salutammo in fretta la nonna e ci incamminammo verso scuola. Avevo il batticuore e un buco nello stomaco, tanto che ero riuscita a mangiare solamente un panino con la Nutella, una decina di biscotti con gocce di cioccolato e una tazza di latte e Nesquik.

«Ancora non capisco perché hai insistito tanto per andare a piedi a scuola quando nonna poteva darci un passaggio con l'auto», sbuffai nell'aria fredda.

«Perché altrimenti non avrei potuto fare questo», disse prima di pizzicarmi il sedere, «e anche questo», mi avvicinò con un braccio intorno alla vita e cercò un bacio sulle mie labbra. Ma non si fermò a quelle e quando sentii la lingua insinuarsi più a fondo, fui costretta ad arrestarmi nel cammino. Era inutile: non riuscivo a fare due cose nello stesso tempo.

Con sguardo da furbo manipolatore mi diede un buffetto sul naso e riprese a camminare senza di me.

«Beh, allora non mi dispiacerà fare due passi a piedi», scherzai quando lo affiancai di nuovo.

Ormai da settimane Tom non si faceva più problemi a farsi vedere in mia stretta compagnia anche davanti a Luca, che ormai sapeva tutto di noi. Ancora non mi aveva raccontato il motivo del silenzio dei primi giorni, e io non avevo voluto chiedere nulla per non rischiare di rovinare le cose. Stava andando tutto così bene che cercavo di dimenticare quei primi momenti confusi e godermi il presente. Dopo più di un mese passati l'uno tra le braccia dell'altro, avevo capito che forse avremmo potuto dare un nome a quello che eravamo. Potevamo definirci una coppia? Per me era un sì, ma non ne avevamo mai parlato apertamente. Chissà perché ci veniva più facile parlare di dove mettere o non mettere mani, lingua o similari durante le notti passate ad aggrovigliarci sotto le lenzuola, che chiarire cosa fossimo l'uno per l'altra. Ormai a scuola quasi tutti sapevano di me e Tom; non che mostrassimo chissà quali comportamenti intimi durante l'intervallo o nel cambio dell'ora, non ci tenevamo nemmeno la mano mentre camminavamo nei corridoi perché ci faceva sentire strani... ma quando Tom mi rubava un bacio o due fuori in cortile tra un tiro di sigaretta e l'altra... beh, tutti se ne erano accorti, soprattutto le Iene, che ci fissavano da lontano con lo stesso sguardo disgustato che dovevano mostrare durante le bancarelle della fiera davanti alle borse taroccate di Louis Vuitton.

In quella situazione che così tanto ci piaceva, era rimasto solo un ultimo ostacolo: la nonna. Entrambi non sapevamo quando sarebbe stato il momento giusto per parlare con lei. Forse cercavamo delle certezze, o forse eravamo timorosi della sua reazione. Se per caso fosse stata negativa e avesse rifiutato di accettarlo, come avremmo fatto a continuare a vivere sotto lo stesso tetto? Quindi, cercavamo di tergiversare il più possibile.

Quel giorno, però, mi ripromisi di non pensare a nient'altro, solo a divertirmi.

Camminando nell'aria gelida di un primo mattino ancora buio e nuvoloso, iniziai a intuire che ci fosse qualcosa di strano perché Tom, invece di proseguire lungo il solito viale alberato per raggiungere la scuola, ci fece svoltare a destra, in direzione stazione ferroviaria.

«Che stai facendo? Dobbiamo andare di là!» protestai con energia.

Tom ridacchiò, un braccio a tenermi salda per le spalle per impedirmi di fermarmi. «No che non dobbiamo. Oggi non partiremo in gita con gli altri.»

Aggrottai la fronte. «E perché? Io voglio andare!»

Il suo sorriso si allargò ancora di più quando mi guardò. Arrestò i nostri passi per dare più enfasi alle sue parole e mi baciò la punta del naso. «Oggi ti porto via per una vacanza a sorpresa.»

Restai a bocca aperta e occhi sgranati, anche quando lui riprese a camminare trascinando il suo trolley. Lo raggiunsi con parecchi secondi di ritardo. «E dove stiamo andando? Nonna lo sa? E i prof?» incalzai, su di giri per l'improvvisata.

«Tua nonna crede che stiamo per prendere il pullman, mentre i prof pensano che non andremo in gita, ecco perché insistevo tanto per andare a piedi. Se Melania ci avesse accompagnati, ci avrebbero visti tutti.»

«E i soldi della gita? Eri andato tu in posta a pagare i bollettini!»

«In realtà non ci sono mai andato, ho tenuto i soldi per pagare... il posto dove stiamo andando.»

«E dove stiamo andando?» insistetti.

«Lo scoprirai quando arriveremo a destinazione. Fino ad allora non tormentarmi o ti butto sui binari e me ne vado tre giorni in vacanza da solo in completo relax.»

Gli cinsi le braccia al collo e presi a strillare. «Che bello! Grazie, Tom!»

Euforica per la meravigliosa sorpresa, lo costrinsi a correre fino in stazione perché non riuscivo più a camminare senza saltare e urlare di gioia. Il cuore mi era schizzato da tutte le parti ed ero troppo felice per fingermi calma.

Il treno per Milano Centrale partì mezz'ora più tardi e nemmeno quando fummo costretti a correre tra i binari per prendere la coincidenza del Frecciarossa per Venezia capii dove Tom avesse intenzione di portarmi. Continuavo a fargli domande, per lo più a trabocchetto per farlo cedere, ma lui riusciva sempre a non cascarci. Tra tutte le ipotesi, mi venne in mente una sola destinazione possibile. Mentre il treno viaggiava svelto in direzione Veneto, mi chiesi perché mai Tom volesse portarmi a Venezia. Non che mi sarebbe dispiaciuto, avrei piantato una tenda nel parcheggio di un autogrill lungo l'autostrada solo per passare tre giorni in solitaria con lui, ma non avevo mai espresso il desiderio di visitarla e mi chiesi da dove gli fosse nata l'idea.

Poi, quando inaspettatamente si alzò in piedi e prese i nostri bagagli mentre ci avvicinavamo alla stazione di Peschiera del Garda, capii quale fosse la nostra meta. «Mi stai portando a Gardaland!»

Tentò di trattenere un mezzo sorriso. «Anche... Diciamo che non sarà la cosa più divertente che faremo qui.»

***

Cosa avrà preparato Tom per Mina???

Un abbraccio e buone feste!

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