53. Viaggio di non-nozze

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Mina

L'appartamento in cui vivevo non era altro che un bilocale al terzo piano di una bassa palazzina senza ascensore. Con quel poco che mi davano per il mio lavoro in palestra, non potevo pretendere nulla che avesse un affitto più alto. Nonna continuava a non capire perché avessi scelto di andare a vivere da sola. Fosse stato per lei, mi avrebbe tenuta con sé fino alla sua morte. Però abitavamo ancora nello stesso paese e per raggiungere casa sua mi bastavano otto minuti a piedi. Ci telefonavamo tutti i giorni all'ora di pranzo, perché la sera non era facilmente reperibile: si ritrovava sempre con il suo circolo di arzille vecchiette dedite al gioco d'azzardo, puntando la cifra astronomica di quindici euro a serata.

Al mio ritorno da quell'avventura assurda a Los Angeles, mi ero ritrovata a riflettere sulla mia vita. Non che io fossi mai stata una persona riflessiva, di solito agivo e poi mi preoccupavo di pensare, ma quel cambiamento mi aveva spinta a rivalutare alcuni aspetti. Primo tra tutti, la completa assenza di mia madre. Non l'avevo dimenticata, anche se purtroppo non ne serbavo alcun ricordo perché mi aveva abbandonata troppo presto. Nonna era stata un'egregia sostituta di mamma e papà, ma a volte finivo per pensare che, se avessi avuto una famiglia normale, forse la mia vita sarebbe stata diversa.

«Vorrei ricordarti che domani apri tu.» Guardai le chiavi che Pietro faceva ondeggiare davanti al mio naso.

«Oh, no», mi lamentai. «Domani no.»

«Oh, sì invece.» Il proprietario della palestra mi prese la mano e posò le chiavi sul mio palmo. «E avrai anche la signora Dellerai per la sua seduta mattutina.»

Lasciai cadere il borsone dalla spalla. «Stai scherzando, vero?»

«Assolutamente no.»

«Si può sapere perché quella vecchiaccia antipatica me la becco sempre io?»

«Perché è lei che chiede sempre di te. Dice che sei molto gentile e disponibile.»

Lo squadrai con un sopracciglio inarcato. «Mi stai prendendo per il culo?»

Scoppiò a ridere. «Quando gliel'ho sentito dire, ho temuto che la pagassi sottobanco per dire una puttanata del genere. A domani!»

Raggiunsi la mia auto, una vecchia Punto con il servosterzo andato e la retro che non entrava mai al primo tentativo, e tornai a casa con la radio spenta e il nervoso in corpo. Non trovai nemmeno parcheggio sotto casa e fui costretta a fare due giri dell'isolato per colpa dei maledetti sensi unici. Mentre salivo tutti i quarantadue scalini verso la mia doccia e il letto, riflettei sul fatto che, dopo due giorni dal mio ritorno da Los Angeles, forse sarebbe stato il caso di disfare la valigia. Avrei dovuto farlo, ma non ne avevo alcuna voglia.

Presa dai miei noiosi pensieri domestici, arrivai davanti alla porta del mio appartamento e infilai la chiave nella toppa. Invece dei soliti quattro giri, quella sera si aprì al primo mezzo giro. Cercai di fare mente locale al momento in cui, dopo pranzo, ero uscita per recarmi al lavoro. Forse avevo dimenticato di chiudere a chiave? Da escludere. Dopo il furto subito due anni prima a causa del mio vizio estivo di tenere tutte le finestre spalancate anche quando non ero in casa, mi ero fatta molto più furba.

"Cazzo, qualcuno è entrato di nuovo in casa!"

Scostai la porta con fare attento e guardai all'interno. Le luci erano accese e dalla camera da letto giungevano i rumori dei cassetti aperti del mobile. La regola avrebbe voluto che non entrassi e che chiamassi immediatamente i carabinieri, ma ormai era diventata una questione personale. "Una volta sono fessa io, ma la seconda non ve la concedo."

Sicura da tutti i corsi di autodifesa che avevo seguito negli anni e che avevo anche finito per tenere io stessa una volta a settimana in palestra, posai il borsone senza fare rumore e afferrai l'ombrello con il manico a uncino accanto alla porta. Entrai di soppiatto, guardandomi intorno. Sentii dei passi, l'intruso stava camminando nella stanza. Tolsi le scarpe e raggiunsi la camera in punta di piedi. Portai la testa oltre la cornice della porta e lo vidi. Era un uomo, probabilmente un maniaco, dato che stava raspando proprio nel cassetto delle mie mutande. "Porco schifoso. Ora te lo faccio vedere io dove ti metto quelle luride mani!"

OUTSIDERSWhere stories live. Discover now