14. Focaccia con lo zucchero

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Mina

«Buongiorno, eh», borbottò Luca quando ci vide attraversare la strada per raggiungerlo. «Mi si è congelato il culo a furia di aspettarvi.»

«Scusa, ma lo scemo qui presente, a furia di costringermi ad ascoltare Ligabue, mi ha fatto dimenticare di mettere la sveglia», dissi indicando il soggetto in questione alla mia sinistra.

Nonostante la pioggia dei giorni precedenti, quel mattino di fine gennaio ci guardava camminare sotto un cielo terso, tanto che l'alba riusciva a tinteggiare l'intera volta anche se il sole era ancora nascosto dietro le colline.

«Avete dormito di nuovo insieme?» Luca si spinse in avanti e ci precedette.

«Sì, Tom ha paura di dormire da solo.»

Presi la guida della sedia e lo spinsi io. Sapevo che avrei dovuto lasciarlo andare quando ci saremmo avvicinati alla scuola. Guai ad aiutarlo davanti agli altri: gli prendeva fuoco la testa peggio di Rabbia in Inside Out.

«Davvero?» occhieggiò il suo amico voltandosi appena.

«No, è solo idiota. Avevo finito i compiti, mia madre continuava a lavorare nel suo studio e io mi annoiavo. Tutto qui.»

Non appena svoltammo l'angolo, controllai che casa mia non fosse più visibile. Tirai fuori dalla tasca interna del giubbotto il pacchetto di sigarette e ne porsi una a Tom. L'accese e poi mi prestò il suo accendino. Dovemmo fermarci perché l'aria spegneva la fiamma e in quell'attimo feci caso alle sue mani, a coppa intorno alla mia sigaretta. Mi sembrarono più grandi e mascoline del solito, il freddo le aveva rese screpolate come quelle di un uomo vissuto. Finsi di non badare alla strana sensazione che era appena precipitata dalla gola al basso ventre e ripresi a spingere la sedia come niente fosse. "Maledizione, devo smetterla di dormire nel letto con lui."

«A te non la offro nemmeno», dissi a Luca.

«E fai bene, perché non fumerò mai. Voi due, invece, vi farete venire un cancro.»

Luca aggiustò il cappellino di lana rossa sulla testa. Si copriva sempre in qualche modo, ne aveva l'abitudine da quando era bambino. Dopo il ciclo di chemioterapia al quale era stato sottoposto a sei anni, era del tutto guarito e i capelli erano cresciuti forti, castani e arricciati sulle punte; eppure lui continuava a portare cappelli, forse come porta fortuna: in inverno di lana, e in estate con la visiera.

«Hai studiato per oggi?» Domanda nella speranza di deviare il discorso.

«Certo che ho studiato, e non tentare di cambiare discorso. Dovreste smettere di fumare. Se lo viene a scoprire tua nonna, Mina, ti appende in cantina a testa in giù per gli alluci.»

«A me no perché mi adora», gongolò Tom.

«Se non glielo andrai a spifferare, stai tranquillo che la nonna non lo verrà mai a scoprire. Sai anche tu che mi ucciderebbe e mi vuoi troppo bene perché questo succeda.»

Luca scrollò la testa e tornò a guardare in avanti. «Tom ha ragione, sei un'idiota.»

«Ma un'idiota adorabile.» Gli tirai entrambe le orecchie: la cosa che odiava più al mondo.

Infatti, mi schiaffeggiò le mani in tutta risposta. «No, un'idiota e basta.»

La mattina allungavamo il tragitto da casa a scuola per poter chiacchierare e, soprattutto, passare nella pasticceria Dolci Ricordi della piazza centrale. Due cannoli alla crema per Luca, focaccia dolce per Tom – dato che in America non poteva mangiarla perché non sapevano cosa fosse la focaccia, né tantomeno quella con lo zucchero –, mentre io non rinunciavo mai alla mia brioche gigante ripiena di Nutella: l'unico motivo per il quale valeva la pena di alzarsi la mattina.

OUTSIDERSWhere stories live. Discover now