25. Le donne non si toccano nemmeno con un fiore

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Tom

Avevo provato in tutti i modi a resistere, dando a fondo alle mie riserve di autocontrollo, ma avrei dovuto immaginare che Mina l'avrebbe infine avuta vinta. Con lei anche i più futili battibecchi si erano sempre trasformati in aperte guerriglie, i litigi in rincorse urlanti in giro per casa, le discussioni in tiri di gavettoni in giardino e – di tanto in tanto e in onore della parità dei sessi – persino botte più o meno energiche. Anche se Melania e mia madre mi avevano cresciuto con il dogma del le donne non si toccano nemmeno con un fiore, non ero mai riuscito a capire perché Mina potesse graffiarmi e darmi calci nel culo mentre io sarei dovuto rimanere inerme.

Con tutti i nostri trascorsi era ovvio che Mina non mi avrebbe permesso di ignorarla a lungo senza opporsi. E alla fine di tutta quella faccenda io non mi reputavo affatto un martire, tanto da resistere alle sua istigazioni santificandomi i testicoli e impedendo loro ogni funzione vitale. Su quel letto durante la messa in scena dei primi cinque minuti degni di ogni film porno che si rispetti, avevo capito che avrei dovuto affrontare l'enorme problema che galleggiava in silenzio tra me, lei e Luca, in un modo diverso. Così, durante la cena, avevo scritto al mio amico per chiedergli di incontrarci. Dovevo parlargli il prima possibile per gettare una secchiata d'acqua gelida sulla confusione che mi mandava in fumo il cervello.

«Si può sapere che cazzo fai continuamente con quel cellulare sotto il tavolo?» domandò Mina, con una dose letale di acido nella voce.

«Ragazzi, lo sapete che a tavola non sono ammessi i telefoni.» Melania sbuffò mentre lavava i piatti. Chissà quante volte ce lo aveva ripetuto da quando avevo iniziato a vivere in quella casa. I miei conti si erano fermati intorno al miliardo.

Chiusi in fretta il messaggio di Luca, nel quale mi diceva di essere d'accordo per beccarci dopo cena, e sbirciai la ragazza seduta accanto a me. «Era Luca, dopo ci vediamo per bere qualcosa.»

Le sue sopracciglia fecero una capriola. «Oh, non lo sapevo. A che ora andiamo?»

«Tra dieci minuti... ma solo io e lui», dissi cauto.

«E perché io no, scusa?»

Con l'indice le tolsi del ketchup che era riuscita a schizzarsi sulla punta del naso. Quando infilai il dito in bocca per succhiare, lei cancellò temporaneamente la sua espressione stizzita. «Perché ci eravamo già messi d'accordo che avremmo passato una serata tra uomini. E tu», abbassai il volume della voce e mi avvicinai per parlarle all'orecchio, «a quanto ho potuto appurare oggi, un uomo non lo sei affatto.»

Non riuscii a farla ridere, Mina se ne stava ancora troppo sul chi va là: un detective impiccione che non si faceva raggirare da niente e da nessuno. Dovevo trovare un nuovo modo per distrarla e cancellare il sospetto che le stessi nascondendo qualcosa. Mi assicurai che sua nonna ci desse le spalle e ondeggiasse i fianchi a tempo della salsa che la radio portatile intonava, e infilai una mano sotto la tovaglia. Mina non ebbe nemmeno il tempo di chiedere: «Che stai facendo?» che io trovai svelto la mia tana preferita, ben nascosta dalle gambe serrate.

«Sei davvero un termosifone», la presi in giro.

Il suo sguardo scodinzolava con apprensione tra me e Melania, le cosce mi stringevano e io mi divertivo nell'esplorazione. A diciotto anni suonati, avevo trovato il modo più efficace per domare Mina. A saperlo prima, forse mi sarei risparmiato diversi lividi.

«Smettila subito», bisbigliò, la voce sempre più acuta, la schiena sempre più rigida.

Strisciai la sedia verso di lei, il sangue mi gorgogliava nei vasi sanguigni mentre scendeva verso il basso. Eccitazione, divertimento e una punta di pericolo. Le parlai all'orecchio, ma tenni gli occhi puntati sulla donna che speravo non interrompesse la danza improvvisata proprio in quel momento per voltarsi. «Starò via solo un'oretta, Mina...» Mossi la punta delle dita in circolo, massaggiai con cura lì dove qualche ora prima aveva lavorato la mia lingua, con soddisfazione di entrambi. Fu breve ma intenso e tornai a raddrizzarmi al mio posto, le mani ora impegnate a togliere la tovaglia dal tavolo. «E quando, torno ti do il resto», bisbigliai.

OUTSIDERSWhere stories live. Discover now