26. La torta

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Mina

"Merda, merda, merda! Mi hanno beccata."

Luca raggrinzì la faccia nel tentativo di sbirciarmi oltre il riflesso della vetrata della gelateria, Tom invece mi guardava con un sopracciglio arcuato, come a chiedermi se fossi una ritardata. Ormai mi costrinsi a uscire dal mio nascondiglio. Tutta colpa di un maledetto sacchetto colmo di bottiglie di plastica, che qualche idiota aveva lasciato fuori dal cassonetto e che mi aveva fatto inciampare. Mi allontanai da quegli agglomerati di spazzatura maleodorante e sbattei i piedi con irritazione fino alla gelateria. Salutai i vecchi proprietari – la coppia sposata dal Paleolitico e che mi rifilava un ghiacciolo gratis in ogni periodo dell'anno perché amici di vecchia data della nonna – e raggiunsi i due ragazzi seduti al solito tavolo.

«Che cazzo stavi facendo là in mezzo ai cassonetti?» domandò Tom a braccia conserte.

Dovevo mostrarmi superiore all'accaduto, come se l'essere stata scoperta con le mani nella marmel... spazzatura non mi toccasse minimamente. Scrollai le spalle e sorrisi soltanto a Luca. «Stavo facendo due passi dopo cena per fumare una sigaretta.»

«Innanzitutto dovresti smettere», mi interruppe quest'ultimo. «E poi, non esci mai da sola.»

«E invece esco anche da sola, mica devo riferirvi ogni mio movimento. Passavo di qui per caso e vi ho visti», continuai la mia ardua risalita sulla liscia superficie dello specchio.

«Non è che – per caso s'intende – mi stavi invece spiando?» La voce di Tom trasudava sarcasmo, il suo sguardo era una sfida aperta.

«Assolutamente no!» Presi una sedia dal tavolo accanto, la rivoltai come facevano i gangster in certi film americani e mi sedetti a cavalcioni in mezzo a loro. «Che si dice stasera?»

Tom scrollava la testa, Luca invece ridacchiava, anche se con un sorriso un po' tirato. «Se non ci fossi, Mina, dovrebbero inventarti.»

«Visto, Dawson dei poveri?» Tirai un pugno sul deltoide di Tom, ma non abbastanza forte da spostarlo dalla sedia. «Qualcuno qui apprezza la mia presenza.»

«Non dovresti tornare a casa a studiare?» ribatté lui, all'improvviso serio. Solo in quel momento mi accorsi che mi guardava in modo strano, come se volesse spingermi ad andarmene. Mi chiesi perché si comportasse così.

«Ho già studiato e poi mi sono rotta le palle di starmene sui libri.» Ringrazia Luisa per la Coca Cola che mi aveva portato senza che nemmeno avessi dovuto ordinarla e guardai entrambi i miei amici. «Che c'è, insomma? Avete un segreto da uomini da scambiarvi che le mie dolci e timide orecchie da femminuccia non possono ascoltare?»

Nessuno dei due rispose, si sbirciavano di sottecchi. La situazione stava iniziando a mettermi a disagio. Non era mai capitato con i miei due migliori amici. «Allora? Dovete parlarvi del record di distanza per il getto di pipì più lungo?»

Tom si coprì la faccia con una mano, Luca invece si lasciò andare a un'ondata di risate, un tantino esagerata rispetto al suo solito modo di fare rigido e composto. «Sei proprio un'idiota», disse in un tono che, nonostante l'insulto, voleva risultare affettuoso. Se Luca iniziava a essere espansivo in tema di emozioni, allora c'era qualcosa di grave sotto.

«Oh, insomma, qual è l'argomento della serata? Non fatemi tornare a casa, vi prego: nonna sta facendo yoga in sala, con le chiappe per aria nella posizione del gatto a testa in giù – o forse era il cane o lo struzzo, non ricordo – e indossa pure i leggins bianchi! E non aggiungo altro!»

«Diglielo tu», disse Luca a Tom.

«Io?» L'interessato sgranò gli occhi nella preoccupazione.

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