34. Paure

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Mina

Non trovavo il fiato, il petto sembrava scoppiare per quanto in fretta tentassi di respirare. Senza contare il cuore: da quando mi ero ritrovata senza peso fuori dal minuscolo aereo, aveva mantenuto la velocità di una monoposto all'ultimo giro del Gran Premio.

La situazione non era cambiata nemmeno quando si era aperto il paracadute e avevo visto il mondo così grande, l'aria così densa nelle narici, il suolo così duro quando atterrammo in piedi qualche minuto più tardi. Immensamente rapido e incredibile.

Dopo il veloce viaggio in autobus per ritornare al nostro albergo, durante il quale avevamo rischiato di saltare la fermata, ancora il cuore non trovava pace. Ma come potevo quando Tom mi toccava in quel modo attraverso i vestiti, quando io mi avvinghiavo a lui senza trovare la forza per resistergli?

Avevamo appena chiuso la porta della stanza che già mi ritrovai schiacciata sul muro accanto, stretta tra le sue braccia, il suo corpo caldo contro il mio, la testa un groviglio di fantasie e assurdità. Le scarpe e le giacche finirono a terra. Forse era l'adrenalina, forse era quella risata isterica che continuava a inseguirci da quando avevamo toccato terra, o forse era stata l'esplosione di totale e immensa libertà che mi era sgorgata dalle labbra mentre urlavo nel pieno della caduta libera.

Non ero ancora pratica di quel nuovo mondo, ma di certo lanciarsi col paracadute poteva essere considerato un efficace afrodisiaco.

Tom mi baciava, Tom mi morsicava, Tom mi rivoltava tutti i pensieri più spinti. Era una corsa di braccia e dita a chi sarebbe rimasto con l'ultimo indumento addosso, nessun perdente, entrambi vincitori. Provavo il disperato bisogno di sentire la sua pelle rovente a contatto completo con la mia. Quando la sua mano si intrufolò sotto il reggiseno, però, Tom si bloccò. Le sue labbra decollarono dalle mie e nei suoi occhi grigi trovai confusione.

«Cosa ti prende?» gli chiesi.

Abbassò la testa e chiuse gli occhi. Prese un respiro profondo prima di tornare a guardarmi. «Il fatto è che ho una voglia di fare l'amore con te adesso che non so più come trattenermi.»

L'eccitazione provocata dalle sue parole strisciò giù in mezzo ai seni, aggirò lo stomaco e mi stritolò le viscere in una morsa dolce e allo stesso tempo insopportabile. Come potevano delle semplici parole provocare tanto in un corpo umano?

«Di' qualcosa», mi incitò.

Scrollai la testa. «Vorrei... ma non riesco a dirtelo.»

«Che cosa?»

Non capiva. Perché non poteva leggermi nei pensieri? Perché dovevo usare la voce, quando per me era così difficile farlo? Io sapevo salire sugli alberi e cadere senza sbucciarmi nemmeno un ginocchio... dovevo solo aprire la bocca e lasciare che pensieri e paure prendessero vita... ma era così difficile.

Tom mi racchiuse il viso tra le mani. La sera era scesa, il cielo si era spento per cedere la scena alla notte. Nella foga di precipitarci in camera e toglierci i vestiti, avevamo scordato di accendere la luce, e nel panico di quell'assurdo momento vedevo soltanto il suo viso nei toni del grigio. «Chiudi gli occhi.»

Obbedii. Nel buio non persi la strada, perché le sue mani mi tenevano. Mi sfiorò il naso con il suo, poi fu il turno delle labbra. Un bacio lieve, una gentile carezza della sua lingua. «Prova a dirmelo così. Ci riesci?»

All'improvviso la stanza d'hotel perse i confini e il lieve infrangersi delle onde del lago si trasformò in squillanti risate infantili. Eravamo nella stanza comune dell'asilo. C'ero io e c'era Tom a parlare di Tartarughe Ninja, e poi eravamo sempre noi ma più grandi, a mollo nella piscina di casa sua, a litigare su quale fosse il personaggio migliore di Star Wars. E poi ancora eravamo a scuola, alle cene con la nonna e le patatine che mangiavamo di nascosto sul mio letto mentre guardavamo i nostri film. Era Tom a undici anni e tutte le sue spiegazioni su come si realizzavano i film, e poi divenne Tom adolescente, il ragazzo che mi aveva toccata come mai nessun altro aveva fatto.

OUTSIDERSTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang