41. Iene intorno a una carcassa svuotata

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Mina

La corsa non si fermò quel giorno.

Era la corsa che mi spingeva sempre più lontana anche mentre i miei piedi erano ancorati a terra.

Era la corsa che mi coglieva a scuola quando, le poche volte in cui Tom frequentava, sbirciavo in direzione del suo banco e distoglievo in fretta lo sguardo quando mi scopriva.

Era la corsa che mi toglieva il respiro quando entravo nella camera da letto, la sua camera, vuota ormai da una settimana.

Tom era tornato nella sua casa. Nonostante i giardini adiacenti, per me fu come se si fosse trasferito su un altro pianeta. Anche la nonna era rimasta sconvolta da quell'improvvisa decisione, dopo anni di vita insieme a noi a comportarsi come un vero nipote. Non aveva potuto impedirglielo, nonostante tutti i suoi tentativi per fargli cambiare idea. Anche io avevo cercato di farlo desistere, ma lo stereo dei suoi pensieri aveva un volume troppo alto affinché la mia voce ferita potesse sorpassarlo.

Nella silenziosa disperazione dei giorni dopo il funerale di Luca, io mi dividevo tra il tentativo di recuperare le insufficienze in vista dell'esame di maturità e la palestra. Passavo sempre più ore tra quelle mura sudate e rumorose, pur di non pensare al resto della mia vita. Auricolari e tapis roulant. A volte correvo senza sosta per quasi due ore, fin quando il proprietario non arrivava a tamburellarmi sulla spalla per mostrarmi l'ora di chiusura sul suo Casio. Più stancavo il corpo e più la mente cedeva alla tentazione di non pensare, per vivere nell'illusione che tutto andasse bene.

Luca non c'era più.

Tom non c'era più.

Andava tutto bene. Non era cambiato niente nel nostro trio.

Di tanto in tanto, mi accontentavo di spiare Tom dalle finestre. Riuscivo a vedere la sua casa dalla cucina e dalla mia camera da letto, ma dalla sua parte le tende erano quasi sempre tirate. Si era recluso in quella casa estranea come aveva fatto in se stesso. Non era mai stato così distante da me nemmeno durante le vacanze estive che passava con sua madre in California. Di tanto in tanto lo vedevo uscire di casa appena scendeva la sera. Non sapevo dove andasse. Tornava tardi, con il cappuccio della felpa tirato sulla testa. Io restavo sveglia fin quando non ritrovavo la sua luce accendersi oltre le tende.

«Guarda dove cazzo vai, ritardata!»

Abbandonai le mie riflessioni e tornai alla realtà della scuola. Avrei indovinato la ragazza proprietaria di quella voce cavernosa a occhi chiusi. Colosso passeggiava per i corridoi durante l'intervallo insieme alla solita combriccola dei Drughi, prendendo a spallate chiunque incontrasse e urlando risate potenti che zittivano l'intero corridoio delle quinte. Ignorai lei e i suoi amici bulli e proseguii verso l'uscita con il pacchetto di sigarette in mano.

Non li avevo visti arrivare perché ero troppo impegnata a sbirciare Tom nel cortile della scuola. Non si trovava nel solito posto che avevamo occupato per tutti gli anni del liceo, il posto degli ultimi, degli outsiders. Non era più lì e non era più solo. Se ne stava circondato dalle Iene e non sembrava dispiacergli più di tanto. Come perfetti sciacalli, erano arrivati ad arraffare i resti dei ricordi di Luca. Il giorno dopo il funerale era uscito un articolo su di lui nel giornale della provincia e Barbara era stata intervistata in qualità di sua migliore amica. La generosa ragazza, diciotto anni e una promettente carriera per il futuro, gli è sempre stata accanto nonostante la disabilità che affliggeva il compianto Luca Ferrari. L'amica più sincera che per anni lo ha protetto dai bulli che lo avevano preso di mira.

Il giornalista che l'aveva intervistata? Suo padre.

Ora, non contenti di essersi arraffati i resti di un ragazzo che non avevano mai considerato, miravano a fagocitare Tom. I ragazzi del gruppo ridevano e fumavano intorno a lui, le ragazze invece lo puntavano da ogni angolazione. Ma lui era serio, silenzioso, un buco nero senza ritorno di luce. Iene intorno a una carcassa svuotata.

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