52 Bugie d'addio

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 Mina

Sul letto a due piazze della camera degli ospiti, con il vestito ancora indosso e lo sguardo fisso sulla maniglia della porta, restai seduta qualche minuto. Ondeggiavo tra la voglia di cancellare le parole di Carol e dar loro ragione. Perché di ragione, a essere onesta con me stessa, ne avevano e parecchia. Dopo undici anni passati senza nemmeno una telefonata per tenerci in contatto, potevo davvero affermare di conoscere Tom e il nuovo uomo che era diventato?

Ma soprattutto, in nome del sentimento che provavo per lui, ero disposta a rovinare quell'occasione di felicità che si era costruito?

Non volevo darla vinta alla foglia d'insalata, come la chiamava la nonna, ma purtroppo Carol era scaltra ed era riuscita ad impugnare l'unica arma che avrebbe potuto trovare per tenermi lontana da Tom.

Posai lo sguardo sul telefono. Il piccolo orologio digitale sullo schermo segnava le quattro di pomeriggio. Uscii in fretta dalla camera e raggiunsi quella della nonna. «Ascolta, dobbiamo parlare di...» La fissai sconvolta. «Cosa stavi facendo in piedi sul letto?»

Era appoggiata al muro che dava verso la mia camera. Nascose dietro la schiena qualcosa che non riuscii a vedere e iniziò a marciare sopra il materasso. «Niente, facevo ginnastica per le articolazioni.»

«Sul materasso?» Per dare manforte alla sua bugia, restò in equilibrio su una sola gamba mentre la sorella veniva alzata nel vano tentativo di toccare il gluteo con il tallone. Mi avvicinai di scatto quando la vidi vacillare in maniera preoccupante. «Scendi giù, ché rischi di farti male.»

«Quante storie, non sono così vecchia e decrepita come credi.»

L'aiutai a scendere e infilai la mano dietro la sua schiena per scoprire cosa mi stava nascondendo. Un bicchiere. «No di sicuro, se ti comporti come una bambina e origli attraverso i muri con il bicchiere che usi la notte per mettere a bagno la dentiera.»

«Insomma, quante storie che fai. Ero curiosa! E comunque, non sono riuscita a sentire un fico secco, per tua informazione. Dai, racconta come è andata. Gliele hai cantate di santa ragione?!»

«Mi sa che è stata lei a cantarmi una canzone che non dimenticherò tanto presto. Prepara le valigie, partiamo tra poco.»

Spalancò i grandi occhi rotondi. «Che cosa stai dicendo, Mina? Partire? E il matrimonio? E tu e Tom?»

«Non c'è nessun me e Tom. Ci sono soltanto lui e la sua futura moglie.»

Tentai di evitare il suo sguardo, ma lei mi prese per le spalle per non lasciarmi scampo. «Questa non è una spiegazione sufficiente. Ti arrendi così? Che cosa ti ha detto quella foglia d'insalata per farti cambiare idea in questo modo?»

Gli occhi bruciavano, le lacrime non avevano ancora fatto capolino che già il naso mi tradiva per primo. «Nonna, ti prego. Voglio solo andarmene da qui. Poi ti spiegherò tutto.»

La furia tenace nei suoi occhi non voleva rispettare la mia resa, ma alla fine la sua presa si addolcì fino a lasciarmi libera. Raccolsi le poche cose che avevo portato con me nel viaggio e in dieci minuti ero pronta per avvisare il maggiordomo di chiamare un taxi. Per fortuna Tom non era in casa, così la mia fuga sarebbe stata un poco più semplice.

Nonna rispettò la mia decisione, ma a velocità bradipo e borbottando di continuo sottovoce. Oltre a impiegare quasi mezz'ora per infilare tutti i suoi vestiti nelle sue ottantaquattro valigie, mi costrinse anche ad aspettarla mentre occupava la doccia. Ero quasi certa che stesse cercando di farmi perdere tempo di proposito.

Ci avviammo verso il piano inferiore con la nonna che camminava ancora più lentamente, lamentando un dolore improvviso al nervo sciatico. «Domani pioverà, ne sono sicura. Succede sempre quando mi viene male.»

OUTSIDERSWhere stories live. Discover now