13. Certe notti

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Tom

«...Certe notti ti senti padrone di un posto
Che tanto di giorno non c'è
Certe notti se sei fortunato

bussi alla porta di chi è come te
C'è la notte che ti tiene fra le sue tette

un po' mamma un po' porca com'è
Quelle notti da farci l'amore,

Fin quando fa male
Fin quando ce n'è...»

«Tom!» Mina sobbalzò quando entrò in camera e mi trovò a occuparle il letto mentre cantavo Certe Notti. Doveva essere appena uscita dalla doccia. «Mi hai fatto spaventare. Credevo che stasera dormissi da te.»

Capelli blu elettrico sparati dal fon, gambe affusolate, e a furia di tenere stretto l'asciugamano per paura che rivelasse il suo corpo nudo e bagnato, il seno si era gonfiato al di sopra. Erano passati quattro mesi e io ancora non avevo smesso di ricordare quella dannata notte e... quelle dannate tette. Ripensavo a quanto mi fossi esposto come un coglione per poi farmi scaricare la mattina dopo. Ormai era diventato un chiodo fisso.

«Sì, l'ho detto, ma mia madre lavora a un nuovo progetto ed è chiusa nel suo studio da ore. Per lo meno... qui si può restare sooooooliiii...» intonai a squarciagola.

«Anche se non urlassi come Jack Sparrow mentre fugge dai cannibali, riuscirei a sentire Ligabue dai tuoi auricolari anche da qui.»

«Ligabue si ascolta al massimo sempre, soprattutto con...»

«Urlando contro il cielo, lo so, lo so», borbottò annoiata mentre frugava nel cassetto dell'intimo. «Prometto che al tuo compleanno ti regalerò i biglietti del concerto, così la fai finita.»

Afferrai il cuscino e glielo lanciai contro. Sperai che Mina perdesse la presa sull'asciugamano, ma non lo fece. «Sei acida. Che ti prende? Hai il ciclo?»

Il morbido missile fu scagliato di nuovo sul letto. «Basta ripetermi tutti quanti la stessa cosa! Posso essere acida anche senza avere il ciclo.»

Stoppai Ligabue e lasciai sul letto il cellulare prima di raggiungerla. «E invece sei strana. Ti conosco e lo capisco anche solo guardandoti di schiena.»

Sbirciai nell'unico cassetto che ormai da anni era diventato un segreto tra di noi, e intravidi qualcosa di tanto strano che dovetti strabuzzare gli occhi per assicurarmi di non avere le visioni. Quasi non ci potevo credere quando lo presi in mano per guardarlo meglio. «E questo che cosa sarebbe?»

«Dammelo subito!» tentò di riacciuffare il perizoma rosso fuoco, ma io lo tenevo troppo in alto per lei.

«Tu indossi roba del genere? Non eri la paladina delle mutande bianche e dei reggiseni senza ferretto?»

Saltò fino ad afferrarle e si affrettò a richiuderle nel cassetto. «Le ho messe a Capodanno, va bene? Ora potresti finirla di tormentarmi? Sei peggio di un semino di fragola incastrato tra i denti.»

«Vedi che sei acida?»

Sbuffando, mi spinse a sedermi sul letto e tornò indietro. Aprì l'anta dell'armadio e si cambiò lì dietro per proteggersi dai miei sguardi. Non aveva ancora capito che riuscivo a sbirciarla senza difficoltà dal riflesso della finestra dietro di lei, ma io di certo non glielo avevo mai detto.

«Sono un po' preoccupata per la verifica di domani, ecco tutto. Alla fine del primo quadrimestre avevo quattro materie sotto e non voglio rischiare l'ammissione all'esame. Non ho alcuna intenzione di restare a scuola un anno in più per nessuna ragione.»

OUTSIDERSWhere stories live. Discover now