21. Codardo

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Tom

«Perché Tom guida per primo? Volevo guidare io!»

Sbirciai Mina dallo specchietto retrovisore. Seduta nel sedile di mezzo, sbuffava con le braccia al petto per dare più peso alle sue lamentele. Faceva così da quando eravamo alti come il tavolo della cucina, non era mai cambiata: il litigio per l'ultima fetta di torta, il possesso del telecomando della televisione e per chi dovesse andare in bagno per primo la mattina.

«Comportamento tipico di una ragazza maggiorenne che sta per prendere la patente», commentai con sarcasmo.

«Fottiti.» Ecco la prima parola che mi rivolgeva direttamente da quando ci eravamo svegliati.

«Linguaggio, Mina!» Dal sedile del passeggero Melania si voltò per fulminare la nipote. «Non potevate guidare a tempo, quindi uno dei due doveva pur iniziare. Tom, gira a destra alla prossima.»

Freccia, freno, frizione, scalai la marcia fino alla seconda e svoltai. Ormai non avevo più problemi alla guida, dovevo soltanto allenarmi con i parcheggi e l'esame di pratica sarebbe stato uno scherzo. Quello che mi preoccupava di più era la maledetta teoria.

«Però Tom fa sempre tutto per primo. A cena lo servi per primo, gli dai la buonanotte per primo...»

«Quanto sei infantile certe volte», sbuffai.

Mina mi pizzicò il fianco e le resi il favore sulla coscia. Perché la adoravo così tanto quando si comportava da bambina?

«Tom ha ragione. E poi lui sa già guidare bene, tu devi ancora imparare.»

«Io so guidare!»

Melania non diede peso alle sue parole, perché rispose a una chiamata sul suo cellulare dalla cover fucsia con i brillantini. Doveva essere una delle sue amiche, a giudicare dal saluto: «Ehi, vecchiaccia decrepita. Come stai?»

L'esserino dai capelli blu si spostò nel sedile dietro di me, fuori dalla mia visuale. Odiavo quando si arrabbiava con me e mi faceva i musi per giorni, ma dopo quello che era successo quella notte era inevitabile... e forse era meglio così. Facile a dirsi, dovevo mantenere le distanze fino a quando non sarei riuscito a parlare con Luca. Da giorni mi ripromettevo di farlo, ma ogni volta non trovavo il coraggio.

Sussultai quando sentii qualcosa solleticarmi l'orecchio sinistro. Mentre Melania guardava distrattamente la zona industriale fuori dal suo finestrino, Mina si era avvicinata al mio sedile e, senza farsi notare, si era spinta ad accarezzarmi il lobo, il collo, la nuca. Incredibile cosa riuscisse ad accendere in me solo con la punta delle dita, le stesse che nella notte mi avevano tenuto stretto e mi avevano fatto quasi venire.

Mi mossi sul sedile, improvvisamente scomodo. Controllai con la coda dell'occhio dove fosse diretto lo sguardo di sua nonna, ma per fortuna era lontano.

«Perché rallenti?» chiese il piccolo folletto con un mezzo sorriso. Perfida fino al midollo.

Accelerai un poco e svoltai a sinistra.

«Tom, hai dimenticato la freccia», fece Melania.

«Vero, Tom, hai dimenticato la freccia. Non è da te un errore del genere.» Mina ridacchiava mentre la mano continuava a torturarmi.

«Ora fermati qui e fai guidare Mina.»

Per fortuna, pensai, altrimenti la situazione nei pantaloni sarebbe peggiorata inesorabilmente. Non mi andava affatto che Melania potesse notarlo. Mi fermai a lato della strada deserta a quell'ora di domenica pomeriggio, misi in folle e tirai il freno a mano. «Tocca a te, puffo.»

OUTSIDERSWhere stories live. Discover now