4. Quattro salti in padella

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Mina

Ero appena tornata dopo aver accompagnato Luca da sua madre; come ogni rara volta in cui gli permetteva di uscire da solo, quella donna fatta di ansia lo aspettava puntuale e in apprensione dall'altra parte della strada. Non appena varcai la soglia di casa mia dopo aver passato il pomeriggio nella piscina di Tom insieme ai miei amici, un plotone di incomprensibili parole spagnole si lanciò al mio attacco. Quella volta, la nausea mi riempì la gola a velocità sorprendente.

"Ti prego, non l'ennesima canzone latino-americana".

«Nonna?!» sbraitai con le mani sulle orecchie per difendermi da morte cerebrale certa. La radio che trascinava in giro per casa non raggiungeva affatto il volume del mega stereo di Tom che usavamo per ascoltare il rock a casa sua, ma quella cantilena noiosa non sarei riuscita a sopportarla nemmeno a un livello minimo. Senza contare il fatto che mia nonna non faceva altro che ascoltare quella robaccia tutto il giorno e il latino-americano su di me sortiva lo stesso effetto di un post-pranzo di Natale indigesto, o di un'influenza intestinale fulminante mentre sei bloccata nel vagone di una metro.

La nonna era in cucina, appena tornata dal corso di aerobica. O forse era pilates... o forse yoga. Non ci persi tempo: quella donna cambiava moda ogni settimana a seconda di quello che le pagine di Donna moderna consigliavano per ritardare l'invecchiamento. Si muoveva tra i fornelli accesi, sculettando il didietro strizzato nei leggins bianchi a ritmo dei vari corazon e te quiero, e teneva il telefono premuto tra l'orecchio e la spalla.

«Moira, ti ho già detto tante volte che non serve alcun bonifico. Sono stata io a chiederti di lasciarmi Tom. Era sempre qui con Mina e non aveva alcun senso che tornasse ogni volta dalla baby sitter. Con noi sta bene ed è sempre in compagnia, i ragazzi fanno i compiti insieme e sono sempre sotto il mio controllo.»

L'affiancai per sbirciare cosa stesse cucinando. Tentava di aprire con le forbici una busta di risotto marca 4 Salti in padella. Ebbene sì: oltre a tutte le varie sfighe che avevano costellato la mia vita dalla nascita, mi era capitata pure l'unica nonna del pianeta negata ai fornelli. Non che in realtà non sapesse cucinare, ero quasi certa che per almeno uno dei miei quattordici compleanni avesse preparato una vera torta con farina e uova senza usare il preparato per dolci della Cameo; più che altro sosteneva che si trattasse di una perdita di tempo, che avrebbe potuto occupare in modi migliori.

«Per esempio, ascoltando musica di merda?» la prendevo in giro, ma lei ogni volta mi rispondeva con un altezzoso: «No, coltivando il corpo e lo spirito come fossero un tempio, per mantenermi giovane in eterno... e accalappiare quanti più uomini possibili.»

E ci stava davvero riuscendo. A detta dei miei due unici amici – e pure di qualche pettegolezzo sentito negli spogliatoi della palestra a scuola – mia nonna era una gran bella milf alla seconda. A nemmeno sessant'anni, Melania Fiore era il tesserato più giovane del club privato Nonne d'azzardo: vispe under ottanta che passavano tutti i week-end a ballare salsa e rumba, i pomeriggi ad allenarsi in palestra o a togliere gli anni in esubero dall'estetista, e almeno tre sere a settimana a giocare soldi a briscola. E le arzille nonnette giocavano pesante buona parte delle loro pensioni. Ringraziavo il fatto che lei almeno fosse fortunata nel gioco, dato che quasi ogni sera portava a casa un bel gruzzoletto.

La nonna lasciò il telefono sul tavolo dopo aver salutato la mamma di Tom. Muoveva ancora le spalle a tempo di musica e quando il ritmo diede una scossa nel ritornello, eccola a scrollare in mio favore il formoso décolleté di cui tanto si vantava. Una quarta abbondante che ancora gareggia contro la maledetta forza di gravità. Chinata sul lavandino, finsi un rumoroso conato di vomito per pregarla di mettere fine alla mia agonia una volta per tutte.

OUTSIDERSWhere stories live. Discover now