13. Jemina

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A pochi giorni da quello che credo fosse più o meno l'equivalente dell'equinozio di primavera sulla Terra, gli esuli erano in fermento. Tutti - escluso Fendur - erano impegnati nei preparativi dell'imminente Festa della Fioritura. Il fato avverso non avrebbe loro mai impedito di onorare questa tradizione secolare: per dieci giorni consecutivi le bancarelle sarebbero state sgomberate dalla piazzola del mercato; gli attrezzi sarebbero stati lasciati nelle capanne e nessuno - a parte Fendur - avrebbe osato cenare da solo in casa.

Una volta che fu liberato il centro della radura per far spazio all'enorme falò che sarebbe stato acceso la prima sera, delle lunghe tavolate vennero posizionate in ogni slargo vuoto e, insieme a quest'ultime, ghirlande, mazzolini, distese di petali floreali multicolori.

La stessa mattina dell'equinozio - o qualunque cosa fosse - io e Jemina ci trovavamo nell'abitazione di Semiul e stavamo facendo del nostro meglio per aiutarlo nella preparazione di una quantità semi-industriale di pagnotte alle erbe. Affacciati all'esterno della sua capanna c'erano infatti ben tre forni a legna, uno dei quali era il più poderoso di tutta la radura. Ne sentivo il calore anche dalla cucina, dove eravamo intente a impastare.

Semiul doveva avere appena trent'anni; aveva il viso rotondo e pulito, gli occhi chiari e il naso schiacciato; si trascinava avanti e indietro le sue vibrazioni da bravo ragazzo tra cortile e interno, tutto ricoperto di farina, per supervisionare i lavori. - Mirafsaj, Deyela! Metteteci più acqua, sennò vengono dure come mattoni! - disse a me e alla tipa che mi stava accanto, con la quale non avevo mai scambiato neanche due parole. Poi si fermò di fronte alla mia coinquilina. - Oh, Jemina! Sei un vero talento!

- Grazie, caro, - rispose lei, sollevando un vassoio pieno di rosette dalla geometria impeccabile, pronte per essere messe a cottura. Si avviò, sorridendogli, verso la porta spalancata sul giardino.

- Hai mai pensato di farlo di mestiere? - Lui ci diede le spalle e la seguì, tutto emozionato. - Se tu volessi... Potrei farti da maestro!

I due continuarono a parlottare fuori e, per diversi minuti, mi ritrovai da sola con la tipa nuova.

- C'è del tenero, eh? - commentai, tanto per dire qualcosa. Giusto perché ero in imbarazzo.

Mi guardò come se avessi detto la cosa più stupida del mondo.

- Del tenero?! - E mi scoppiò a ridere in faccia. 

- Che ho detto?

- Ma dai, lei... - Poi, d'un tratto, strabuzzò gli occhi. - Oddio, tu non lo sai!

- Non so cosa?

- Questa è bella! - E riprese a ridere ancora più forte, si teneva la pancia dal gran sghignazzare. - Non te l'ha detto! - Cominciò persino a lacrimare. - Esilarante!

Ero molto pentita di averle rivolto la parola. Per fortuna, subito dopo Semiul rientrò. 

- Ragazze, sgomberate! Waldud e gli altri hanno deciso di farsi vivi, - e così mise fine a quella crudele presa in giro. - Dai, forza! Non dovete fare tutto voi! Fuori di qui!

Con mio grande sollievo, abbandonammo tutto lì sul tavolo e ci dirigemmo, a turno, verso una catinella per sciacquarci le mani. Jemina mi comparve alle spalle. - Mira, ho in mente delle composizioni bellissime per i centrotavola! Mi accompagni nel bosco a cercare i fiori? Deyela, se ti va puoi unirti.

- No, grazie, - rispose, cantilenando. "Gnigni".

Era una giornata meravigliosa, i raggi del sole penetravano dai rami e si gettavano al suolo in sottili cilindri di luce, illuminando il violetto, il giallo e il turchese dei boccioli che sbucavano dal terreno qua e là, in piccoli gruppi. Jemina aveva in mente un tipo ben specifico di fiore che era certa crescesse vicino al corso d'acqua, e lì ci stavamo dirigendo. L'unica regola da seguire era: "non cogliete nessun fiore dal quale potrebbe nascere del cibo". Perché va bene la festa, però non è il caso di morire di fame.

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