5. L'uccello blu

67 7 67
                                        

Il carcere era ormai un punto invisibile nella notte, occultato dai rami e dai dossi che mi ero lasciata alle spalle. Sapevo che non c'era nessuno a inseguirmi, ma avevo corso come se così fosse stato. Avevo perso il fiato nel tentativo di mettere quanta più distanza possibile tra me e il luogo del massacro.

Crollai seduta sul tronco di un albero caduto, gli stivali infilati nelle foglie secche del sottobosco. Mi era rimasta ormai ben poca forza nelle gambe e avevo bisogno di riposare.

C'era più di un motivo dietro a quella corsa disperata. Il primo motivo era che non avevo abbastanza dati per stabilire che la strage fosse stata compiuta dal visitatore che mi aveva aperto la cella, e quindi di essere stata lasciata in vita di proposito. Poteva essere andata in qualsiasi altro modo, poteva esser stato qualcuno che non sapeva ci fossi anch'io nell'edificio; e perciò dovevo scappare. Il secondo motivo era che, se mi fossi fermata, sarei stata obbligata a trarre delle conclusioni in merito al fatto che nel cielo c'erano due satelliti, quando forse l'unica cosa che mi aveva tenuta in vita era la speranza di ritrovare la via di casa. Il terzo motivo era il sospetto latente che, in qualsiasi momento, avrei potuto risvegliarmi nella cella.

Nei punti in cui le chiome degli alberi si aprivano affacciandosi sulla cupola del cielo, la brina che ornava la vegetazione brillava tingendosi di una flebile luce bluastra. Il paesaggio era così irreale e al contempo così incantevole che pareva soltanto la meta di un sogno, un meraviglioso inganno della mia mente spossata. Gli unici rumori che potevo sentire erano il bubolare sommesso di qualche uccello; ogni tanto, un frullo di ali; e lo stridere pungente di qualche insetto in lontananza.

C'era un'altura poco lontano: il terreno iniziava a salire e spariva nel folto delle chiome spoglie. Pensai che avrei potuto scalarlo con poco sforzo. Forse, da lassù, avrei potuto vedere il bosco dall'alto.

Mi rialzai sugli stinchi indolenziti e mi incamminai zoppicando in quella direzione. Per un tratto fu sufficiente seguire il percorso lasciato libero dai tronchi; poi, quando la salita si fece più ripida, dovetti far leva sugli arbusti che spuntavano dal terreno, aggrapparmi alle radici, alle sporgenze rocciose, ai rami, a qualunque supporto avesse potuto reggere il mio peso. Rimpiansi di non aver preso dei guanti: i palmi delle mie mani si stavano riempiendo di tagli e di piccole abrasioni.

Poi raggiunsi la sommità dell'altura. Un vento delicato mi gelò le guance, e io ne seguii il percorso con lo sguardo; le chiome più vicine ondeggiarono piano sotto di me, poi quelle degli alberi dopo, e quelle dopo ancora. Cercai di gettare il mio sguardo lontano, fin dove il vento poteva esserne inseguito. Tutto il mondo pareva essere coperto da quella foresta infinita accarezzata dal vento, lambita dalla luce delle due lune che ne tingeva le foglie come alghe che danzano su un fondale marino. Per quanto quegli astri ignoti nel cielo gettassero il mio spirito in un inenarrabile sconforto; per quanto mi sentissi intrappolata per sempre in un labirinto senza vie d'uscita, dovetti riconoscere di non aver mai visto nulla di più straordinario di quella foresta.

A un tratto mi accorsi che in lontananza la foresta s'interrompeva e che, nello stesso punto, qualcosa brillava riflettendo le luci lunari. Niente meno che un corso d'acqua che scorreva a non più di un chilometro da me. La prospettiva di potermi dissetare mitigò la mia angoscia; iniziai a ridiscendere.

L'aria iniziava a farsi più chiara, una nebbia sottile s'alzava dal terreno, occultando con un velo azzurrognolo la corteccia degli alberi più lontani. Dovevano essere le ultime ore della notte quando udii il gorgoglio dell'acqua che rimbalzava veloce sul letto roccioso.

Affrettai il passo oltre il limitare del bosco, mi sporsi dal leggero declivio, che terminava in dei massi grigi e screziati da zone di muschio. Là, fresca e trasparente, l'acqua scorreva ora libera, ora insinuandosi sotto a uno strato di ghiaccio. Cercai di raggiungerla e, non appena mi sporsi, il terreno franò sotto ai miei piedi e scivolai giù su un cuscino di sassolini.

RecursionWhere stories live. Discover now