13. Mirafsaj

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Allungai la mano, afferrai uno sgabello poco distante e lo trascinai di fronte alla sedia in vimini. Con lo sguardo, la terrorista dell'Oltre seguì ogni mio movimento.

Mi sedetti dando le spalle alla vetrata. Vedere il mio volto dall'esterno... C'erano delle pieghe, in quella sensazione di estraneità, che non riuscivo a decifrare. Era un'incognita. Un'estrema simmetria e, al contempo, l'assoluta alterità.

- Chi sei? - sibilò. - E perché sei uguale a me?

- Mi chiamo Chiara, - le risposi. - E non lo so.

C'erano dei piccoli dettagli nel suo aspetto - i muscoli spessi, i capelli rasati, la camicia larga che le ricadeva liscia sul petto, lo sguardo severo - che agirono su di me in maniera ambivalente. La guardavo, e non sapevo cosa stessi provando. Repulsione, inquietudine; ma, al contempo, anche soggezione. Tutte quelle emozioni comparvero in me, molto prima di poterle nominare.

Anche lei mi studiava inquieta. Strizzava le palpebre assottigliando lo sguardo. - Parli la mia lingua. - mi disse. - Tu vieni dall'altra parte. - Non era una domanda.

- No, io...

- Sei venuta a prendermi. - E di colpo strinse i braccioli della sedia, in una reazione convulsa. Andò in iperventilazione, prese a voltare il capo a destra e sinistra, quasi cercasse una via di fuga da un accerchiamento. Poi si soffermò su un punto. C'era ancora Alessio, appoggiato allo stipite dell'arco. Lo sguardo di lui e quello di Mirafsaj si incrociarono. C'era dell'odio negli occhi di lei; e ciò lo intimorì.

- No... - cercai di dirle in tono pacato.

E si voltò cattiva. - E allora perché sei qui?! Perché sei con uno di loro?! Cosa vuoi da me?!

- Uno di... cosa?

Di fronte al mio sconcerto, un dubbio parve attraversarle il volto. Si girò di nuovo all'indietro. Alessio, come mortificato da quell'attenzione, si ritirò. Lo vidi voltarsi di spalle, con un'espressione preoccupata; poi sparì nel corridoio.

Mirafsaj si rivolse in avanti; scosse la testa, guardando il pavimento. La paura sembrò defluire, poco a poco, dalle sue vene. Con ogni evidenza, sapeva che la qualcuno la stava cercando e che avrebbe potuto venire a "prenderla".

- Non sono qui per catturarti, - le spiegai. - Voglio solo parlarti. Ho bisogno di sapere alcune cose da te.

Alzò le pupille, diffidente. I miei stessi occhi marroni, nei suoi. - Che cosa vuoi sapere?

Esitai a lungo, prima di parlare. Perché c'erano più piani della questione che andavano chiariti. Se tu sei legata a me, se noi siamo collegate, qual è il collegamento? Cosa c'è, in te... Di sbagliato?

- Voglio sapere dell'attentato alla capitale. - Le dissi. - Sei stata tu... ad aprire la Voragine?

Mirafsaj alzò le sopracciglia. Mi guardò con stupore. - Perché? Esistono dubbi a riguardo?

E ci guardammo, così, per un po'. Non so cosa mi aspettassi di sentire. Ma qualcosa si incrinò dentro di me. Qualunque fosse il collegamento tra me e lei... Io non ero una criminale.

- Volevo solo esserne sicura.

- Sì, l'ho fatto io, - mi disse con durezza.

Mi sentivo così delusa dalla sua risposta che quasi avrei voluto andarmene e chiuderla lì. Eppure, un dubbio si insinuò nel mio cervello. E mi spinse a restare. - Ma come sei riuscita a farlo?

Lei mi guardò incredula senza dire nulla.

- Ho parlato con i tuoi conoscenti: con Venorassen, con Jemina... - ripresi.

RecursionWhere stories live. Discover now