«Non c'è evento che avvenga una volta soltanto, né cosa che esista senza esser già esistita.»
11 novembre 2011, ore 00:42
Questa la data e questa l'ora a partire dalle quali Chiara - studentessa di 21 anni nella città di Pisa - non subirà mai più al...
L'ora sfasata sul quadro oltre il volante, le tre tacche di benzina ancora nel serbatoio e l'autoradio accesa, impostata su una frequenza vuota. Era la mattina, orario imprecisato tra le nove e le dieci, di lunedì 19 dicembre. Dopo essere uscita dal traffico di Pisa i miei nervi si erano distesi e, a quel punto, era più di un'ora che evitavo i caselli, per passare dalle strade di provincia.
La provincia, almeno in questa parte del mondo, pensai, è sempre uguale. Ma è diverso, se ti stai avvicinando a casa tua.
Da una decina di chilometri, infatti, il paesaggio era cambiato; non perché ci fosse qualcosa di diverso nelle foreste di faggi spogli, né perché le case non avessero gli stessi tetti in laterizio, la stessa vernice scrostata alle persiane. Forse era più per la presenza dei monti, che nascondevano l'orizzonte in un numero sempre crescente di direzioni. O forse era per la precisa, inconfondibile disposizione delle loro vette, che potevano essere così soltanto se le guardavi da un certo posto, da un punto specifico della Terra, cioè: soltanto se ti trovavi a Borgonatio.
Dopo esserti lasciato alle spalle il cartello Borgonatio, m. 407 s.l.m, e aver superato un ponte di pietra che poggiava le pile sulle sponde del Rivo, tu tiravi dritto per due incroci, non di più, e ti ritrovavi in Viale Marco Aurelio, in questa località che chiamavano anche la Piana, proprio perché era tutta pari, zero discese o salite, zona residenziale di recente fondazione. Recente, s'intende, se paragonata al castello, che era un mostro di Frankenstein composto da brandelli basso medievali, romanici, longobardi e, forse, anche più vecchi.
Io non stavo dentro le mura del paese. Lì, per spiegarti il suo indirizzo, la gente faceva riferimento alle porte: "sto a Porta del Castro", o "a Porta degl'Armaiuoli", ad esempio, perché dentro le mura non tutti i vicoli sono segnati. E poi, a prescindere, era costume dire così, rimanere sul vago. Casa mia, invece, si affacciava su una strada a due corsie, aperta al traffico, un chilometro e mezzo davanti a Porta Carraia. A un indirizzo, insomma, che il postino trovava sempre, non c'erano scuse.
Quando parcheggiai nel vialetto mi accorsi che l'auto di mio padre non c'era; e ciò fu un sollievo perché, fosse stato in casa, sicuro, avrebbe trovato strano vedermi salire al piano di sopra con due scatoloni, anziché con una normale valigia.
Tirai il freno a mano e scesi dall'auto, per aprire il bagagliaio; e mi accorsi che nell'abitazione di fronte alla mia, un po' sulla destra rispetto al parco con le altalene, una signora sulla sessantina fissava, indagatoria, in direzione del mio prato. Se ne stava in piedi nel suo terrazzino, con un grembiule a quadretti. Quando mi girai a guardarla, chinò il capo di scatto, fingendo di occuparsi delle mollette appese al filo dei panni.
«Signora Semeraro!» la salutai, alzando il braccio.
Lei fece come se mi avesse notata solo allora: mi sorrise meccanica, con quest'espressione plastica. Anche dopo aver iniziato a scaricare la roba, notai che continuava a starsene lì, impalata, a scrutare.
«Bentornata a casa, Chiara» bofonchiai tra me e me. «Nel tuo pittoresco paesino di provincia».
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