9. Rabbia robot

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Riprendemmo la traversata in mezzo alla ressa, stavolta con una difficoltà ulteriore: avevamo i bicchieri di plastica tra le mani e li avremmo dovuti proteggere a costo della vita. Io sorseggiavo il mio drink mano a mano che avanzavo, un po' per paura di non fare in tempo a berlo prima che qualcuno me lo buttasse a terra, e un po' perché avevo fretta di ubriacarmi. Quando ritrovammo le ragazze lo avevo già quasi terminato e la prima cosa che fece Rengie non appena mi vide fu mettermi in mano il suo, quello che aveva ordinato per sé ma che le faceva schifo perché c'era dentro il midori. Monica era dietro di lei, rideva sguaiata: aveva le lacrime agli occhi. - Ma avete visto cos'ha fatto il Caino?! - urlò. - Ve lo siete perso?! - No, non avevamo visto cosa aveva fatto il Caino, sì, ce lo eravamo perso; non ci perdemmo, però, l'arrivo di un tizio con una canotta di rete e un cappellino da poliziotto girato al contrario che le urlò: -'A frociarolaaa - o qualcosa di simile, e poi si mise a ballare con lei, anche lui ridendo come un pazzo.

Bevvi pure il mio secondo drink. O meglio, il drink di Rengie. E dopo un po' ero imbambolata: fissavo il sorriso di Alex, illuminato a intermittenza dai fasci di luce colorata, ora blu, ora fucsia. Gli accarezzai la guancia, così, dal niente; e lui si voltò a guardarmi, e ci baciammo in mezzo alla pista. Per un breve istante fu come se quell'anno e mezzo passato rinchiuso tra quattro mura fosse stato solo una parentesi priva di importanza nella sua vita, come se non gli avesse lasciato alcun segno... Non sapevo se fosse davvero così: a volte mi spaventava pensare il contrario, ma quando era nei paraggi era quasi impossibile credere qualcosa di diverso. Sembrava imperturbabile, come se nulla potesse fargli del male.

E poi, mi piaceva la sua camicia a righe. Gli stava bene. Non so che fine avessero fatto i nostri bicchieri vuoti: temo fossero finiti per terra, sotto alle suole della moltitudine che ci circondava.

Poi arrivò il momento in cui Rengie pretese un altro giro di drink; e quindi io, lei e Alex rifacemmo tutto il percorso all'indietro. Stavolta io ordinai un Gin Tonic, Rengie un Cuba Libre "per andare sul sicuro" e Alex non ne ho proprio idea: era un cocktail simile al primo, credo, solo dai colori diversi. Poi uno di loro propose di tentare un avvicinamento alla postazione del DJ, non so chi tra i due; ricordo però che, dopo essere passata a fianco di un'enorme cassa vibrante, iniziai a non sentirmi bene. Presi a guardarmi attorno, confusa e assonnata: i volti delle persone si confondevano l'uno con l'altro, in una sorta di quadro astratto; finché i miei occhi non si posarono su qualcosa che mi fece riemergere di colpo dal torpore: in un angolo un po' nascosto della struttura, oltre a un branco di persone in movimento, sotto a una piccola insegna luminosa - Toilettes, recitava - vidi una figura di spalle: il Venanzi.

Ebbi la fugace visione dello spiraglio della porta del bagno maschile che si apriva, la luce azzurrina al di là, lui che ne veniva investito e che infine scompariva. Mi prese una sorta di agitazione di stomaco, non capii se fosse l'alcol o qualche altra cosa, a farmi sentire così. Ma mi voltai verso i miei compagni, senza riflettere. - Devo andare in bagno, - annunciai. Loro non mi sentirono: Rengie stava dicendo qualcosa nell'orecchio di Alex, e Alex guardava da un'altra parte. Non mi ripetei due volte: mi allontanai da loro senza aggiungere niente.

Come un toro: scavalcai un gruppo di femboy; andai a sbattere contro una tipa coi capelli rosa; passai sotto al cubo della Drag - la quale parve darmi la sua benedizione dall'alto - e sorpassai un paio di tizi in giacca e cravatta che, a dirla tutta, non ci incastravano nulla con il resto dell'ambientazione - e mi gettai infine contro la porta, spingendola in avanti con gli avambracci in un impeto di forza che per poco non la mandò a sbattere contro la parete; e mi ritrovai inondata dalla luce soffusa al neon azzurrognola, tra le pareti bianchissime e ornate di larghe piastrelle del bagno maschile, in mezzo a non più di sei o sette persone; e c'era il Venanzi, in piedi di fronte all'ultimo lavandino della fila, dall'altra parte della stanza.

RecursionWhere stories live. Discover now