"Dovremmo consegnarla e basta".
"Ma dice di non essere Mirafsaj!"
"E tu le credi?!"
"Che importa quel che crediamo noi? Conta quel che crede il governo... Forse metterebbero fine a questa persecuzione e ci lascerebbero ritornare alle nostre case, ci avete mai pensato?! Io non ne posso più di questa radura di merda".
"Già, e di questa birra che sa di scarpone".
"E se la uccidessimo...?"
"Imbecille. Se l'uccidiamo, è finita. Loro la rivogliono viva. Deve risolvere il problema a Misk!"
"Ma cosa vuoi che risolva che non si ricorda nemmeno come si chiama..."
"Siete dei blasfemi... Aveva il simbolo dei Lettori o no? Eppure l'avete visto!"
"Tu, che dopo tutto quello che è successo, dai ancora credito ai Lettori... Questo sì che è blasfemo".
Sperimentai un curioso effetto collaterale al felice apprendimento della lingua del posto: iniziai a capire tutto ciò che dicevano alle mie spalle.
Cominciai ad avere un po' di timore ad andarmene in giro per il villaggio da sola, soprattutto di sera. A quanto capii, la taglia sulla mia testa era tale che sarebbe bastata a trasformare un nullatenente in un ricco nobile in grado di far vivere di rendita la sua discendenza per svariate generazioni.
Non so cosa li avesse trattenuti dal consegnarmi alle autorità fino a quel momento. Sembravano aver timore di qualcuno. Ogni tanto saltava fuori questo nome: "Venorassen", che significava "colui che ricorda bene", il "memore"; e non sapevo se si trattasse di una sorta di titolo, di un epiteto oppure di un nome proprio.
Stava per giungere la fine dell'inverno. Siccome avevo portato quasi sempre gli stessi vestiti, alcuni si erano sdruciti e io mi ero fatta prestare ago e filo da Lorrina. Ero seduta vicino alla finestra di camera mia, intenta ad applicare una toppa sul ginocchio di un paio di pantaloni quando, proiettando lo sguardo alla radura, notai del tumulto. Sembrava essere comparso qualcuno dalla foresta. Non un semiumano, ma un uomo vestito di nero. E tutti avevano abbandonato le loro attività per raggiungerlo.
- Jemina? - chiamai. Se ne stava di sopra, nel soppalco. Non mi rispose, perciò credetti che si fosse appisolata.
Mollai pantaloni e toppa a bordo finestra e mi diressi verso la scala a pioli. - Jemina, sveglia! Sta succedendo qualcosa! - Ero già quasi alla fine della scala, quando sentii la risposta.
- No, ferma! Aspetta!
Ma ormai mi ero affacciata oltre il bordo. Jemina, seduta a gambe incrociate sul suo materasso, teneva in una mano una piccola pallina lucida bianca e nell'altra uno strofinaccio sottile col quale la stava ripulendo; e quando alzò lo sguardo su di me... Le mancava un occhio.
- Gaaaah! - Per lo spavento, spinsi per sbaglio le braccia contro il soppalco e la scala dapprima oscillò, poi cadde all'indietro con me ancora sopra. - Ahhhhh!
- Noooo!
Battei la schiena contro la parete di legno della mia stanza e rovinai come un sacco di patate sul cassettone.
- Scusa! É solo un occhio di vetro! Ti dovevo avvisare!
- Ghhh. - La guardai dal basso verso l'alto, con la scala ancora addosso. Quando si affacciò, si era già rimessa il bulbo nel posto che gli era proprio, cioè nell'orbita. E mi fissava preoccupata.
- Scusa, non ti volevo spaventare!
- Mi dispiace, non dovevo reagire così! Ohi... La mia schiena...
- Scusa, scusa!
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Recursion
Fantasy«Non c'è evento che avvenga una volta soltanto, né cosa che esista senza esser già esistita.» 11 novembre 2011, ore 00:42 Questa la data e questa l'ora a partire dalle quali Chiara - studentessa di 21 anni nella città di Pisa - non subirà mai più al...
