Poi riemersi dalla voragine. La vista tornò. Lo vidi, davanti a me. Esterrefatto. Complimenti, Chiara. Brava. Volevo piangere.
- Mi... - L'aria non passava dalla gola. - Mi dispiace, Alex.
Non rispose. Era bloccato.
- Dispiace a me, - sentii dopo un po'.
Il pianto era a un passo.
Lui non sapeva che fare. Avrei voluto si sedesse.
Il petto mi iniziò a sobbalzare. Sentii gli occhi lucidi. Sì, stavo per piangere.
Feci un respiro profondo, poi un altro. Il primo tremava, il secondo mi riportò l'aria. Respirai. Di nuovo. Di nuovo. Il pianto rientrò.
Solo allora lui si mosse; lentamente, si sedette, rivolto a me. Era sul gradino successivo, molto vicino. Mi sembrava spaesato. Con grande cautela, guardandomi, mi toccò le dita.
- Non hai niente da temere, da me, Chiara - disse solo. Quelle parole mi scombussolarono al punto che avrei voluto fuggire. Invece feci pressione, con le dita, sulla sua mano.
- Perché credi che lo pensi? - gli chiesi.
La sua espressione cambiò. Si trattenne dal ridere.
- C'è stato qualche indizio, diciamo, - disse serio.
Provai sollievo. Sciolsi la stretta. Si rilassò.
- Vuoi andare a casa? - mi chiese.
Scossi la testa. - Tu?
Non rispose. Sorrise e basta. Guardò altrove, verso il campo. Non per molto.
- Sai cosa? - e scivolò via dal suo posto. Venne a sedersi accanto a me. - Non ti ho ancora raccontato cosa è successo alla mia macchina.
Capii che si stava sforzando di fare come se nulla fosse successo. Per aiutarmi.
- No, in effetti, - risposi.
- Forse avrei dovuto farlo a inizio serata, - mi disse. - Comunque, mi hanno tranciato tutte e quattro le gomme.
- Come, scusa?
Lui rise. - Sì, con un coltello. Credo.
- Ma perché? E chi è stato?
- Un tizio. - Ci pensò su, prima di pormela. - Diciamo che, un po', l'ho provocato. Però ne è valsa la pena, - ridacchiò.
- L'hai denunciato, spero. - Mi sentii un'ipocrita dopo averlo detto.
- Bè, a dire la verità, - spiegò, - non l'ho proprio colto sul fatto. È successo mentre ero ancora in libreria. Ma non può essere stato nessun altro. È sicuro. Comunque, l'assicurazione copre anche per queste cose.
Scossi la testa. - Potresti spiegarmi com'è successo? - gli chiesi.
- Ora ci arrivo. In pratica, è andata così. Più o meno lunedì, o martedì scorso, ho iniziato a far caso a un tizio, un tipo alto, viso allungato. L'avevo visto nel bar all'angolo, quello che sta sull'altro lato della strada di fronte alla libreria.
- Intendi allo Space Oddity.
- Proprio lì. Non che stesse facendo qualcosa di particolare, a parte il fatto che, quando sono passato, mi ha lanciato un'occhiata malevola, come se mi conoscesse. Io stavo rientrando dalla pausa pranzo. Il fatto, però, è che io non avevo idea di chi fosse.
Tirò fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni e ne accese una. - Insomma, - continuò, - all'inizio non ho dato molto peso alla cosa. Però lui è rimasto lì, davanti al bar, non so quanto. Io ero già nella libreria. Notavo che continuava a lanciarmi occhiate. Era strano, insomma. Se ne stava lì, da solo, davanti a una tazzina di caffè vuota. Ho anche pensato che fosse un'autosuggestione.
- Sicuro che non fosse nessuno che conoscessi?
- Sicuro. Comunque, il giorno dopo l'ho rivisto.
- Sempre lì, al bar?
- No. Di fronte al parcheggio. Come sai, io lascio quasi sempre la macchina dietro all'alimentari, quando c'è posto. Lui stava passando di lì, nelle vicinanze. Strano, no?
- Cosa faceva di strano? - Non capivo.
- Intendo dire che lì non c'è nulla. I locali, lì, sono sfitti. Non aveva alcun motivo per essere lì. Ma tutto questo l'ho pensato dopo. In quel momento, pensai che anche lui avesse parcheggiato nell'area. Il fatto, però, è che non sembrava avere una direzione precisa. Sembrava... "fingere" di passare di lì per caso. Io stavo arrivando in macchina e lui mi ha lanciato un'altra occhiata, identica. Ma me ne sono accorto appena: quando sono sceso dalla macchina non c'era più.
- E questo è stato il giorno in cui hai trovato le ruote squarciate? - chiesi.
- No, questo accadeva ieri. Oggi pomeriggio me lo sono ritrovato in libreria.
- Il tizio è entrato nella tua libreria?
- Sì, verso le tre e mezzo. Io ero lì che leggevo dietro la cassa e lui è entrato. Si è guardato un po' attorno, ha fatto un po' il vago. Gli ho detto: "Salve, posso esserle utile?" e lui mi risposto con questo tono arrogante: "Salve, tu devi essere Alessio Bartolini".
- Oddio. E che voleva? - Fin qui, sembrava quasi comico.
- Ha cominciato a farmi dei discorsi strani. - Fece una pausa: fissava la sigaretta. Poi si voltò su di me, per un attimo. E distolse lo sguardo. - Ha iniziato a dirmi che dovevo stare attento, che mi aveva visto in compagnia di gente poco raccomandabile. Che lo diceva per il mio bene. Ovviamente, ho subito pensato stesse parlando di Dennis. Sai, Dennis non piace a tutti. - Sorrise. - Ma poi ha aggiunto anche altre cose, parecchio strane.
- Che cosa ha detto? - Cominciavo a non sentirmi bene.
- Ha detto che una persona, anche se ti dà l'impressione di essere sincera, gentile e onesta quando la conosci appena, può comunque rivelarsi tutt'altro. - Si strinse nelle spalle. - Che può essere pericolosa, ma essere brava a nasconderlo. - Guardava a terra. - E che quando si rivela per ciò che è, potrebbe essere già troppo tardi. - Gettò via la sigaretta, ancora a metà. - "Sarebbe meglio per te che tu le stessi lontano", ha detto. Quindi non stava parlando di Dennis.
Persi un battito. Che descrizione. "Accurata", pensai. Di se stesso. - E tu? - gli chiesi. Tremavo.
Sorrise. - Io niente. Attuavo la strategia del finto tonto. Di solito, i tipi come lui vogliono sempre ottenere qualcosa. Mollano la presa, se ti vedono impassibile. Può essere utile, saperlo. Solo che poi ho avuto un'intuizione, quando stava per uscire. Un colpo di genio, - rise, - non per vantarmi.
- E cioè?
- Hai presente quel libro che hai portato in libreria qualche mese fa?
Non risposi niente. No, non stavo bene.
- Quello con una dedica, - continuò.
- Sì, sì. Ho capito quale.
Mi scivolò più vicino. - Non prendertela per questo, Chiara. Lo tenevo ancora vicino alla cassa, in una pila. Non lo avevo ancora messo sugli scaffali.
- L'hai letta, - sussurrai. Anche se era ovvio.
Lui sorrise, senza confermare. - Il tizio, come ti dicevo, stava per andarsene, si era già voltato in direzione della porta, con quell'atteggiamento da cowboy, - e rise ancora. - E allora io, così, in automatico, ho preso il libro, l'ho richiamato: "Mi scusi," gli ho detto, "credo che questo sia suo". - E mimò, in modo meccanico, il gesto con cui glielo aveva teso, esibendo un sorriso innocente, proprio come aveva detto, da finto tonto. - E lui è tornato indietro, l'ha guardato. Non ha realizzato subito, si vedeva. Ma quando ha capito, - e sospese la frase, voltandosi verso di me, con un sorriso enorme, senza riuscire a mascherare la soddisfazione. - Avresti dovuto vedere la sua faccia. Era fuori di sé.
Mi sorrideva, guardandomi. Ero senza parole.
Passarono uno, due, tre secondi. Lo baciai. Fu sorpreso, per un attimo. Poi mi accarezzò la guancia. "Ah, il Cavaliere d'Onore", pensai. "Adesso ho capito". E non ebbi alcun flash, stavolta, quando fu più vicino. E fu bello. Rimanemmo laggiù, chissà quanto. Era il 13 luglio. Ma forse l'ho già scritto.
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Recursion
Fantasy«Non c'è evento che avvenga una volta soltanto, né cosa che esista senza esser già esistita.» 11 novembre 2011, ore 00:42 Questa la data e questa l'ora a partire dalle quali Chiara - studentessa di 21 anni nella città di Pisa - non subirà mai più al...
