4. Il tracciatore

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Non me la sentivo ancora di tornare a casa da mio padre. Per com’ero ridotta in faccia, sarebbe stato impossibile evitare di spiegargli cos’era successo. Tina fu comprensiva, su questo. «Perché non ti fermi un po’ da noi?» mi disse. «Tanto quel cugghiuni del Desiati è via in Erasmus. La sua stanza è vuota. Non se ne accorgerà nemmeno.»

«Uhm. Non sarà il caso di avvisarlo?»

«Nah.»

Detto fatto. Al tempo, l’unico a vivere lì, insieme a lei – e al Desiati – era Salvo, studente di ingegneria informatica all’ultimo anno della specialistica. Anche lui era di Catania. Stavano insieme da anni.

«Ok, vengo da voi. Grazie» le risposi.

Così, verso le due del pomeriggio, Tina era al telefono con lui e gli spiegava a grandi linee quello che era successo. Eravamo in macchina, ferme di fronte allo sportello del McDrive, in attesa del pranzo da portar via. La lista delle ordinazioni comunicataci da Salvo in vivavoce era così lunga che la nostra sosta si prolungò oltre il limite di sopportazione dell’automobilista in attesa dietro di noi. 

«Minchia sòni, viddanu?!» Tina era tutta sporta fuori dal finestrino quando radunai le monetine che avevamo ricevuto di resto.

Il loro appartamento stava in Via Pandolfo Fancelli, vicino a San Rossore e al Polo di Porta Nuova. Quando entrammo in salotto, trovammo Salvo sul divano a giocare a Call of Duty: Black Ops con il cappuccio tirato sulla testa. Sentì l'odore del cibo che proveniva dalle buste del McDonald’s e mise in pausa la partita. Si alzò in piedi: un metro e novantacinque d’altezza per oltre cento chili di peso, braccia mastodontiche, cranio rasato, pizzetto lungo e incolto. 

Mi squadrò torvo. «Oh» mi fece.

«Ehi.»

Non conoscendolo, sono certa che qualcuno avrebbe potuto considerarlo inquietante. Ma non lo era, anzi. Tutt’altro.

O meglio: chi lo conosceva bene, sapeva che non era il tipo di persona che andasse alla ricerca di occasioni per avvalersi della sua superiorità fisica. Al massimo, quando risultava necessario avvalersene – cioè, quando tutti gli altri tentativi di intermediazione erano falliti – sul suo volto compariva un sorriso sghembo, una specie di ghigno gioioso. 

«Salvo, prepara la tavola.» Tina gli affidò il cibo. «Io faccio vedere a Chiara l’altra stanza.»

«Sì, vado.»

«Pare ti sia passata una mandria di cinghiali sulla faccia» mi disse, dopo aver ingoiato il boccone del BigMac

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«Pare ti sia passata una mandria di cinghiali sulla faccia» mi disse, dopo aver ingoiato il boccone del BigMac. Con ogni evidenza, quella similitudine era rimasta appesa al suo cervello per tutto quel tempo. 

«Grazie» mormorai, senza grande trasporto.

«Amo’, cambiando discorso,» s’intromise Tina, «ci sarebbe un certo problema da risolvere».

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