18. Il cacciatore

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- Di cosa staranno parlando, secondo te?

Jessel era aggrappato al lembo della mia manica sinistra; stava tutto chinato in avanti nel tentativo di far aderire la gamba del pantalone all'interno del suo stivale. Alzò appena un occhio in direzione della capanna di Iasrin: là Venorassen, vestito con un gilet da villico che poco s'addiceva al suo solito aspetto, parlava faccia a faccia col traduttore, che nessuno di noi s'aspettava di vedere fuori casa a quell'ora, poco prima della partenza. 

- Boh? - La voce assonnata del fabbro si confuse al tintinnio delle spade che teneva allineate sul bacino. Si rialzò e appoggiò la schiena al muro della fucina ancora chiusa. 

- Chiara, ma i biscotti? E la coperta che ti ho lasciato piegata sul cassettone...? - Jemina, avvolta in uno scialle chiaro, picchiettava le dita contro un'asse di legno. Non riusciva a stare ferma.

- Ho preso tutto, Jemina. Non preoccuparti.

Poi, quando anche gli altri componenti della spedizione uscirono dalla porta della capanna, il Demiurgo gettò loro uno sguardo, toccò Fendur sull'avambraccio e se ne distaccò. Si avvicinò al centro dello spiazzo, richiamando tutti attorno a sé. Tirò fuori un laccetto da una tasca. - Bene, - disse, legandosi i capelli in una coda - Ci siamo tutti? Buriana, Mirestin, Tavis... - Si girò, con l'indice libero sollevato a mezz'aria, - Chiara, Jessel... Fendur, e me. Sì, siamo tutti. 

- Cosa? 

- Jessel. - Si avvicinò a noi d'un passo, squadrò l'apprendista un poco perplesso. - Sei... Sei proprio sicuro che vuoi partire con tutte quelle armi?

Lui si guardò la cintura, saggiò pensieroso le quattro impugnature che gli sbucavano dal fianco. Rialzò le palpebre. - Sì?

Venorassen sospirò. - Vado a salutare Iasrin. Tra dieci minuti partiamo. - E si allontanò di nuovo.

Fendur, rimasto solo e isolato rispetto agli altri, sollevò da terra uno zaino e lo caricò sulle spalle. Passò di fronte a noi, con lo sguardo basso.

- Quindi ci sei anche tu, Fendur?

- Hai sentito il Demiurgo, no? - bofonchiò senza fermarsi.

- Ma... Io volevo farti restituire i quaderni.

- Ti ho detto che erano un regalo.

- Be'... Comunque ce li ha Jemina, nel caso..

- Puoi buttarli, - disse rivolto a lei. Si fermò solo una volta ch'ebbe raggiunto il confine della radura, e poggiò l'avambraccio a un tronco. Rimase lì, a guardare nel folto, i capelli sporchi e punteggiati di fili d'argento riavviati all'indietro.

Dopo pochi minuti tutto il gruppo era radunato in piedi di fronte a noi. Mirestin aveva tolto i gioielli, portava dei vestiti non suoi e parlottava con Buriana, il cui bagaglio era così grande da superarla in altezza e lo sguardo di Tavis era inquieto, seguiva il Demiurgo come se temesse di perderlo di vista anche per un istante.

- È il momento, eh? 

Mi portai davanti a Jemina. Lei guardava a terra, gli occhi ancora appesantiti dal sonno.

- Stai attenta, - mormorò.

Poi mi si gettò al collo, come la prima volta che mi aveva incontrata. E, come allora, il suo petto sobbalzò al ritmo del suo pianto sommesso.

- Anche tu, - le risposi. - Non fatevi beccare dai militari.

E poi, partimmo.

Jemina rimase lì, in piedi nella radura ancora deserta, stringendo il telo di fronte al petto, le ciocche di capelli che le ricadevano in disordine sul viso, a metà tra la fucina e i tavoli sgombri del mercato. - Trovala, - sentii, come ultima cosa. - Rimandala da me. - Poi la vidi sparire, al di là degli alberi.

RecursionWhere stories live. Discover now