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Erano tornati ad incontrarsi, dopo un po'. Tutto il gruppo, insieme come le altre volte. Non sempre era organizzato, non sempre tutti erano presenti, avevano semplicemente deciso di creare una chat di gruppo e scriverci ogni volta che qualcuno aveva bisogno di compagnia. Tutti sembravano star andando d'accordo, quindi l'idea funzionò davvero bene.

Ciò che non funzionò fu il tentativo di Minho di bloccarsi ogni volta che sapeva che avrebbe iniziato a parlare a vanvera e non avrebbe lasciato nemmeno il tempo di respirare a Jisung. Aveva deciso di lasciar stare, perché qualsiasi cosa provasse, qualsiasi cosa stesse succedendo, non riusciva a far finta di nulla. E a Jisung non sembrava dare troppo fastidio.

Il ragazzo rispondeva raramente alle sue domande, a tutte quelle parole che uscivano dalle sue labbra. A volte gli sembrava di star parlando a un muro, ma non era così. Jisung lo stava ascoltando. Era solo molto confuso sulla situazione. E, come al solito, infastidito.

–Jisung, andiamo lì!!– disse Minho, tirando il suo braccio verso una delle attrazioni del parco divertimenti in cui si trovavano.

–Non voglio.– rispose, strattonandoi l braccio.

–Allora..

–No.– rispose, girandosi dall'altra parte. –Vai con Felix.

–Io volevo andarci con te, però.

–Che differenza fa??– gli chiese, ritrovando le sue iridi castane.

Minho alzò le spalle. –Non lo so. Che tu non sei Felix? Jisung sospirò, arrendendosi e seguendo l'amico sull'attrazione su cui voleva andare.


"Ci sei domani?"

Un messaggio era comparso sotto la scritta "nuovo" anche qualche giorno più tardi, quando i ragazzi avevano deciso di andare a giocare a calcio in qualche posto isolato in cui nessuno li avrebbe disturbati e li avrebbe presi in giro per le loro non esistenti abilità.

Jisung rimase a guardare lo schermo del cellulare per minuti, finché Changbin non si affacciò alla porta della sua stanza. –Jisung?

Spostò lo sguardo verso il suo coinquilino. –Che c'è?

–Non lo so, ho notato che sei rimasto immobile lì per vari minuti e mi stavo iniziando a preoccupare. –disse, ridendo.

–Sto bene. Non so cosa rispondere ad un messaggio.

In realtà sapeva bene cosa rispondere. Non aveva mai saltato uno dei loro incontri. Dall'ultima volta si era anche sforzato di rimanere fino alla fine, un po' per non far incazzare Chan, un po' perché sapeva che quella era la cosa giusta da fare.

–Okay. Io esco un attimo.– lo avvertì, lasciandolo solo, un'altra volta tra le tante.


Quando rispondeva alle sue chiamate rimaneva sempre disteso sul letto ad ascoltare la sua voce. Sì, le loro "conversazioni" erano un po' strane, dato che lui parlava a malapena. Ma a Minho non sembrava importare più di tanto, siccome continuava a chiamarlo e a dirgli che gli piaceva passare del tempo con lui. Jisung non lo capiva. Non lo capiva affatto, ma non se la sentiva di evitarlo. Non ancora, perlomeno.

–Ci vediamo, allora!– disse, con la sua solita voce elettrizzata da qualcosa che Jisung non poteva neppure percepire.

–Mhm, certo.– rispose Jisung, rotolando dall'altra parte del letto.

Era tardi, ormai, i suoi occhi si stavano inziando a chiudere nonostante avesse giurato di voler vivere di notte anziché di giorno. Non ci sarebbe mai riuscito. Non con tutte le uscite che faceva con i suoi amici. Non con Changbin che urlava fuori da camera sua alle sette di mattina. Non con le chiamate di Minho che a mano a mano che il tempo passava Jisung riusciva adevitare sempre meno. Si stava affezionando? Forse, ma non voleva neppure pensarci. Il pensiero lo rendeva nervoso.


Qualche giorno dopo, quando si affacciò alla finestra della sua camera, la quale dava sul retro del loro condominio, pensò quasi di avere le allucinazioni per qualche minuto, prima di correre giù e dare un'occhiata al giardino che fino a poco prima era pieno di erbacce rinsecchite.

No, non era un'allucinazione.

–Non ci credo..– disse, aggrottando le sopracciglia. –Cosa cazzo ci fai qua??

Una persona inginocchiata a terra, con un cappellino sulla testa, il collo esposto al sole bagnato di sudore, una paletta tra le mani che erano coperte da dei guanti da lavoro, circondato da vasetti che contentevano dei fiori colorati. Si girò verso di lui, sorridendogli e alzando la visiera del cappellino così che potesse guardarlo in faccia.

–Mi pareva di aver capito che odiassi questo giardino più di ogni altra cosa al mondo.– spiegò, tornando subito al lavoro, togliendo un fiore dal suo vasetto e piantandolo con cura nell'aiuola che una volta era piena di ortiche, ricoprendo le radici con della terra fresca.

–Okay, ma..

Non sapeva neppure cosa dire. Si aspettava qualsiasi cosa da lui, ma non questo.

–Minho!– disse, attirando la sua attenzione quando l'altro ragazzo continuava ad ignorarlo, continuando con il suo lavoro.

–Mhm?

–Perché stai facendo..tutto questo?– gli chiese, osservando con occhi confusi il modo in cui il giardino era ormai sgrombro da tutte le foglie che vi erano sparse prima, la stradicciola di ciottoli era pulita.

–Non ti piace?– gli chiese, un'espressione un po' ferita sul volto.

–No, no! Non è che non mi piace, è solo..

Jisung sospirò. –Non capisco perché continui a fare così tante cose per me.

Se era possibile sentirsi in colpa per qualcosa che non aveva fatto, quella era la situazione in cui provava quella sensazione. Si sentiva come se stesse intrappolando in qualche modo Minho, ma non era colpa sua. Lui non aveva fatto nulla di particolare.

–Non lo so neanch'io.– ammise Minho. –Ma non mi dispiace.

Jisung si sedette sulla panchina che era posta vicino all'uscita del condominio, osservando silenziosamente l'altro ragazzo lavorare. Aveva iniziato a parlargli dopo un po'. Di come aveva incontrato un altro gatto. Di come pensava di adottarne uno. Poi era passato a parlare di come avesse inziato a cucinare molto di più, dal momento che i suoi genitori non erano quasi mai a casa. Del fatto che si sentisse un po' solo, ma che era felice di star uscendo con tutti loro. Di un libro che aveva letto recentemente. Di una persona particolare che aveva incontrato a lavoro. Di quanto gli piacessero i fiori che stava piantando.

Gli chiese se non volesse smettere per un po' di lavorare sotto quel sole così forte, ma il ragazzo lo ignorò, continuando a curare il giardino. Jisung si alzò dalla panchina, tornando dentro casa sperando che se ne sarebbe andato prima se non avesse avuto nessuno con cui parlare. Ma non fu così.

Quando tornò a scendere un paio di ore più tardi, era ancora lì. Come se il tempo si fosse fermato, come se non percepisse la fatica che il suo lavoro gli stava causando.

Jisung sospirò, camminando verso di lui e toccandogli la spalla con una bottiglietta di acqua ghiacciata. –Alzati, mi sento stanco solo a guardarti.

Minho gli sorrise, afferrando la bottiglia e prendendone un sorso. Jisung si sedette sulla panchina, dando un paio di pacche allo spazio vicino a sé. –Siediti.

Rimasero a parlare per un po' di tempo sotto l'ombra creata dalla tettoia che correva appena sopra il pianoterra dell'edificio. Il vento soffiava lieve, non abbastanza forte da rendere il calore più sopportabile.

–Sei sicuro che non vuoi entrare un attimo? Sembri star morendo di caldo.– gli chiese Jisung, osservando il modo in cui i capelli di Minho erano appiccicati alla sua fronte.

–Penso tornerò a casa, ora.

Casa..

Non se ne andò subito come aveva annunciato, restando ancora per una buona mezz'ora a parlare di qualsiasi cosa gli venisse in mente con Jisung. Quest'ultimo lo stava ascoltando, ma stava iniziando a chiedersi se ci fosse un modo per lui per aiutare il ragazzo che era seduto accanto a lui. Il modo in cui si comportava non era più minimamente salutare. Non poteva andare avanti a pensare più a lui che a se stesso. E Jisung avrebbe fatto qualunque cosa per bloccarlo prima che fosse troppo tardi.

hypnotic. | minsungحيث تعيش القصص. اكتشف الآن