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Dopo essere rimasti abbracciati per qualche altro minuto, scesero dall'auto ed entrarono nella casa, salendo per le scale immerse nell'oscurità che Minho tanto odiava e percorrendo quel corridoio che Jisung aveva già visto. Alla fine di esso, della luce fuoriusciva da una stanza, attraverso la porta aperta. Sembrava quasi che qualcuno avesse dimenticato la luce accesa, ma Jisung intuì che probabilmente non era così e che fosse una scelta voluta.

La stanza di Minho era esattamente come la ricordava dall'ultima volta in cui era stato lì. Ordinata. Il letto fatto, dei libri su uno scaffale ordinati per colore, formavano un arcobaleno nell'insieme. Jisung sorrise. Era come trovare una piccola parte del carattere di Minho nascosta tra strati e strati di coperture. Quella copertura era l'apparenza fredda della sua stanza, senza personalità. Ma forse non era così come sembrava a primo sguardo. La scrivania posta in un angolo, vicino alla finestra, aveva dei disegni a matita sopra. Si vedevano appena, tra le venature del legno di cui era composto il tavolo. Sulla sedia che era sistemata sotto al tavolo c'erano dei vestiti, accumulati lì come per far finta che non ci fossero, in realtà.

–Scusa.– disse Jisung, accorgendosi del modo in cui Minho lo stava fissando mentre analizzava la sua stanza.

Minho rise. –Non importa.– disse, sedendosi sulla coperta grigia che ricopriva il letto.

Jisung si sedette vicino a lui. –Ti sei divertito oggi?– gli chiese.

–Sì. Ma sarebbe stato meglio se tu avessi finito di giocare. Avresti vinto.

–Stavi tifando per me?– chiese, ridacchiando.

–Forse. Non posso né confermare né negare questa informazione.

–Ma stavi giocando anche tu! Avresti dovuto tifare per te stesso.

Minho alzò le spalle. –Faccio schifo a bowling comunque.

–Non è vero!

–Comunque si vedeva che avresti vinto. E io mi schiero con i vincenti, non con i perdenti.

Jisung sorrise. No, io sono solo un perdente.

–Cosa vuoi fare, comunque?– gli chiese Minho, giocando con la manica della sua felpa.

–Non lo so, siamo a casa tua, cosa vuoi fare tu?

–Sei tu che volevi stare qui con me.

Jisung annuì. –Ho solo..

Ho solo bisogno di qualcuno. No, non è questo. Non penso sia questo.

–Posso abbracciarti di nuovo?

Minho si girò verso di lui, alzando gli occhi su quelli di Jisung. Annuì silenziosamente, lasciando che l'altro ragazzo lo circondasse con le sue braccia.


Non sapevano come si fossero ritrovati in quel modo, ma nessuno dei due se ne stava lamentando. Erano ancora abbracciati, anche se ogni tanto dovevano muoversi un po', spostare un braccio o una gamba, perché altrimenti sarebbero finiti per farsi male. Ma ora non erano più solo seduti l'uno accanto all'altro, erano invece distesi sul letto di Minho, le coperte lontane da loro perché se no sarebbero morti di caldo.

Era strano il modo in cui nessuno dei due si lamentava della situazione in cui erano. Nessuno dei due lo odiava, nessuno dei due lo trovava sconfortevole, strano, qualcosa che due "amici" non dovrebbero fare. Tutte le parole che avrebbero potuto dire erano invece implicite. Erano implicite nel modo in cui Minho chiudeva gli occhi quando Jisung gli accarezzava il viso, nel modo in cui Jisung ridacchiava quando Minho lo stringeva contro il suo petto, così forte che sentiva il suo battito. Il suo battito che correva così veloce. Pensava di sapere il motivo per cui fosse così, ma aveva paura di chiederlo. Aveva paura di rompere quella sensazione di conforto che si era formata da quando si erano distesi su quel letto.

hypnotic. | minsungWhere stories live. Discover now