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Jisung parcheggiò davanti al giardino della casa che conosceva molto bene ma che non aveva visto da tanto tempo. Non passava mai a trovare i suoi genitori, ma non credeva che loro l'avrebbero presa male, dal momento che la cosa era in realtà reciproca.

Spense l'auto, slacciandosi la cintura e uscendo, camminando verso la porta ed entrando senza suonare perché tanto era probabilmente l'unica persona che aspettavano a quell'ora della sera.

–Mamma? Papà?– li chiamò, dirigendosi verso il soggiorno e trovando i suoi genitori circondati da valigie, come se stessero per partire da un momento all'altro. –Cosa..?

–Oh, sei arrivato?– gli chiese suo padre, un'espressione stanca sul viso.

Sua madre sospirò. –Abbiamo qualcosa da dirti, siediti.– disse, indicandogli il divano.

Jisung si sedette senza esitare. –Dove state andando?

–Ci stiamo trasferendo. Andiamo a vivere in Malaysia, per lavoro.

–Cosa? Ma io..io..– iniziò a dire, più che confuso su cosa stesse accadendo davanti ai suoi occhi.

–Jisung, sono tre anni che non torni a casa.– disse suo padre. –Hai sempre fatto quello che ti pareva, senza pensare a nient'altro se non a te stesso. Per quante volte ti abbiamo chiesto di andare all'università, non l'hai mai fatto.

–Aspetta, non è che..ho ancora solo 21 anni..posso..posso ancora andarci.

–Devi imparare a prenderti le tue responsabilità.– disse poi sua madre, con un tono freddo.

Responsabilità. Cos'era quella parola che tutti gli dicevano, quasi come se lui fosse ancora un bambino e non riuscisse a vivere come un'uomo. Vivere come una persona adulta. Come se fosse ancora un ragazzino stupido. Irresponsabile. Tutto ciò che era. Tutto ciò che sarebbe sempre stato.

–Me le prenderò. Ve lo giuro. Ma-

–Basta con questi ma. Abbiamo preso una decisione e non cambieremo idea, ormai.– disse suo padre. –È ora che tu vada per la tua strada come hai sempre voluto fare. Avevi così tanta fretta di andartene di casa, non è quello che vuoi? Vivere per conto tuo, indipendentemente. Puoi farlo, ora.

–Perché mi state parlando come se vorreste vivere facendo finta che io non esista??– chiese, diventando sempre più disperato mano a mano che la conversazione continuava. Non capiva. Non risuciva a capire perché.

Sua madre sospirò. –Non è quello che tu stesso hai fatto in questi ultimi anni? Da quando hai vinto quella lotteria hai iniziato a vivere come se non ti importasse più di nulla. E allora non avrai nessun problema a continuare a farlo senza di noi, no?– chiese, prendendo due maniglie di due valigie e trasportandole oltre il soggiorno, verso l'uscita della loro casa. Suo padre la seguì, facendo lo stesso con degli altri bagagli.

Jisung scattò in piedi. –Aspetta! Aspettate!– gridò, afferrandoli per le braccia, tentando di fermarli. Avrebbe voluto così tanto che il tempo potesse fermarsi in quell'istante.

I suoi genitori si liberarono facilmente dalla sua presa, oltrepassandolo e lasciandolo indietro. Jisung li rincorse, sentendosi sempre più senza speranza. Quando la porta dietro a lui si chiuse, quando i suoi genitori salirono sulla loro auto, quando i loro bagagli erano tutti a bordo e i loro visi erano ormai lontani da lui, capì. Era stato abbandonato. I suoi genitori l'avevano buttato fuori di casa.

In passato, l'affitto dell'appartamento in cui viveva con Changbin, quella sua decisione..sembrava tutto così semplice. Perché era stato lui a volerlo. Ma in quell'istante era tutto il contrario. Guardare quell'auto allontanarsi veloce da lui, lasciandolo lì, in mezzo alla strada, nel buio della notte..era terrificante. Tutti quei soldi che aveva buttato perché tanto sapeva di averne altri e che sarebbe riuscito a vivere tranquillamente, ora gli sembrava così tanto un errore. Gli sembrava un errore quello di aver lasciato indietro i suoi genitori in quel modo. Perché ora era lui quello che ne subiva le conseguenze.

hypnotic. | minsungDonde viven las historias. Descúbrelo ahora