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Le gocce di pioggia cadevano veloci sul parabrezza dell'auto di Jisung, spazzate via dal tergicrisallo. Le strade erano completamente bagnate, i finestrini tirati su perché per quel giorno la temperatura era troppo bassa. Era troppo bassa anche per andare in giro in t-shirt e pantaloncini. La pioggia non aiutava affatto la situazione. A chi sarebbe mai piaciuto spostarsi con quel fastidio opprimente?

Parcheggiò l'auto davanti alla casa di Minho, scendendo veloce e correndo verso la porta. Il ragazzo gli aveva detto di entrare, lo stava aspettando nella sua camera.

Erano passati vari giorni. Tutti di pioggia, ma nessuno dei due se ne lamentava più di tanto. Avevano continuato a vedersi ogni tanto, ma niente di che. Quel giorno, aveva proposto a Minho di vernirlo a trovare e di stare a casa sua invece che muoversi inutilmente.

Salì le scale, trovando la solita luce familiare uscire dalla stanza alla fine del corridoio. Si affacciò alla porta, trovando Minho seduto sulla sedia accanto al tavolo vicino alla finestra, le braccia appoggiate sul davanzale, il suo sguardo perso che fissava le gocce che cadevano velocemente.

–Hey.– lo salutò, ma il ragazzo non rispose. Gli si avvicinò un po' confuso, appoggiando le mani sulle sue spalle e cercando di scovare qualche dettaglio a cui Minho sarebbe potuto essere interessato, lì fuori. Ma non c'era nulla. –Cosa stai facendo?– gli chiese, abbassandosi un po', facendo scorrere le sue braccia un po' più in là, così che potesse abbracciarlo.

–Guardo la pioggia.– rispose senza girarsi.

–Mhm? Da quanto sei qui?– gli chiese, stranito da quel suo comportamento.

–Non lo so, ho perso la cognizione del tempo.– rispose Minho, sorridendo, anche se Jisung non poteva vederlo. –È una mia abitudine.– spiegò, lasciando stare la pioggia per un attimo, portando l'attenzione sull'altro ragazzo che era appena arrivato. –Resto a fissare la pioggia quando viene. Ogni volta che sento questo rumore mi viene la nostalgia.

–Nostalgia?

Minho annuì. –Nostalgia.– ripeté.

–Per cosa? A cosa pensi?– gli chiese Jisung.

–Qualsiasi cosa.– rispose soltanto Minho. –Non so perché ma la mia testa si muove così veloce quando mi siedo qui.

–A cosa stavi pensando, ora?

Minho non era mai stato il tipo da dire al mondo i suoi pensieri più nascosti. Mai e poi mai. Però ogni volta che parlava con Jisung gli sembrava tutto così semplice. Come anche il modo in cui gli aveva raccontato di quello che era successo tre anni prima, quando era stato aggredito. Quando era quasi morto. Era l'unica persona a sapere di tutta la storia, a parte i suoi genitori e delle persone che una volta erano stati suoi amici ma che ora probabilmente non ricordavano neppure il suo nome. Non capiva il perché. Perché riusciva a parlargli così facilmente?

–Lo vedi quel ceppo?– disse, indicandone uno che si trovava nel suo giardino, a pochi metri dalla sua casa.

Jisung annuì, abbassandosi di un po' per raggiungere l'altezza di Minho, ancora seduto su quella sedia.

–Quando ero piccolo c'era un albero lì. Il primo ramo era basso e quindi riuscivo ad arrampicarmici. Mano a mano che gli anni passavano, riuscivo a salire sempre più in su, sempre più in alto. E l'albero stesso stava crescendo con me. All'inizio era così basso, poi è cresciuto quanto questa casa. Un giorno ero fuori a lavoro, e quando sono tornato l'albero era stato tagliato. L'avevano deciso i miei genitori, perché dicevano che era ormai diventato troppo alto e pericoloso. Però sono rimasto giorni a fissare quello spazio vuoto in cui una volta invece c'era il mio albero preferito. Era così strano. Ormai era sparito, non sarebbe più tornato indietro. E non potevo farci nulla.– disse, con un leggero sorriso alla fine.

hypnotic. | minsungWhere stories live. Discover now