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Passarono alcuni giorni. Dei giorni tranquilli, come al solito, ma Jisung non poteva lamentarsene. Odiava ricervere brutte notizie, come un po' tutti. Odiava dover cambiare i suoi piani, o doversi preoccupare di qualcosa. Ultimamente, stava andando tutto perfettamente. Era felice.

Ma poi, qualcosa di inaspettato lo travolse mentre era seduto da solo in camera sua, i suoi occhi che scorrevano lungo vari punti della sua stanza, mentre la sua testa era occupata dai pensieri più vari.

Il suo cellulare vibrò sul suo tavolo. Si alzò, avvicinando per controllare chi fosse, giusto in caso fosse qualcosa di importante. Si sarebbe aspettato di ricevere una chiamata da Minho, ma il suo ragazzo era a lavoro in quel momento, dunque non poteva essere lui.

Il suo respiro si bloccò per un attimo, i suoi occhi spalancati. Un braccio tremante si alzò dal suo fianco, raggiungendo lo schermo del telefono, accettando la chiamata e portando il dispositivo verso contro il suo orecchio destro.

–Sì..

Era l'ultima persona che pensava lo avrebbe chiamato. In fondo, era ormai chiaro che qualunque legame li collegasse fosse ormai stato tagliato completamente. Stava cercando di andare avanti senza pensarci troppo, ma non era neppure passato chissà quanto tempo. Perché? Che significato aveva? Lo avrebbe potuto scoprire solo se avesse risposto a quella chiamata. Sapeva di doverlo fare.

–Papà?

Aveva giurato che non avrebbe più pensato ai suoi genitori. Che se l'avessero cercato avrebbe fatto finta di nulla. Forse era colpa sua, forse era quello il motivo per cui aveva risposto. Ma un legame come quello che si ha con i propri genitori, è difficile da tagliare. I ricordi di un passato felice ti accecano, facendoti pensare che sia tutto okay. Che sarà tutto okay. Che nulla sia mai cambiato.

–Allora, come stai?

Come fai a farmi questa domanda, così?

–Sto bene. Sto bene, papà.

–Meglio così. Ho qualcosa di cui volevo parlarti.

Jisung deglutì. L'ultima volta che i suoi genitori gli avevano detto quella frase, non era finita bene. Affatto. Ma come poteva andare peggio dell'altra volta?

Non riusciva a comprendere perché lo stesse chiamando, perché dopo tutto quello che gli avevano detto, dopo al modo in cui se n'erano andati lasciandolo indietro, gli stesse parlando come se nulla fosse successo.

–Lo sai, l'ultima volta che ci siamo visti..forse ci siamo comportati un po' troppo impulsivamente con te.

Oh? Vuole scusarsi?

–Non l'abbiamo presa molto bene quando te ne sei andato in quel modo. Avresti potuto dirci qualcosa, o venirci a trovare ogni tanto, ma non hai fatto nulla di tutto ciò.Te ne sei andato così di punto in bianco.

–Non avevo cattive intenzioni.

–Lo so, lo so.

–E allora perché mi stai parlando di tutto questo? Pensavo volessi scusarti.

–Ci siamo solo trasferiti qui, non vuol dire che non ti avremmo più contattato. E poi, hai sentito la nostra mancanza, comunque? So già la risposta.

No, non era questione di sentire la loro mancanza o meno. Forse si era comportato in un modo negativo ed impulsivo con loro, ma non aveva mai voluto ferirli. Voleva solo tentare di vivere la sua vita. Pensava che non avrebbero trovato nulla di negativo nel vedere loro figlio andarsene di casa così giovane e vivere per conto suo. Lotteria o meno.

Lui aveva visto i suoi genitori lasciarlo indietro in quel modo, in una notte fredda, senza poter processare nulla di cosa stesse succedendo. Jisung se n'era andato di casa prendendosi varie settimane, percorrendo per varie ultime volte le stanze della loro casa, deciso a non tornarci più. Non perché odiasse quel posto. Ma perché voleva sentirsi indipendente. Voleva essere in grado di vivere per conto suo. Fare ciò che il suo cuore gli diceva di fare.

Pensò a tutte quelle cose, ma non riuscì a dirne neppure una. Rimase zitto, nel silenzio della sua stanza.

–Ho una proposta per te.– disse dopo qualche secondo suo padre.

Jisung si morse un labbro, provando una sensazione di anticipazione. Era nervoso, da quando quella chiamata era iniziata, era così nervoso.

–Ovvero?

Un secondo, due, tre. Quasi li aveva contati nella sua testa, per quanto era stanco di aspettare.

–Potresti venire anche tu qui. Possiamo dimenticarci di quello che è successo, tutto quanto. Puoi tornare a vivere con noi e noi possiamo trovarti un lavoro come il nostro. Non pensi sia una buona idea?

Tutto quello che era importante per Jisung, in quel momento, scomparì. In quel momento, le parole di suo padre occupavano tutto lo spazio nella sua mente. Quel legame che aveva tentato di ditruggere, o di lasciar morire, ora poteva essere ricostruito. Non doveva fare assolutamente nulla, solo seguire ciò che gli dicevano. Solo fare ciò che i suoi genitori gli chiedevano.

Una casa sicura, un lavoro sicuro, la sicurezza di qualcuno al suo fianco, qualcuno che probabilmente non lo avrebbe lasciato. Perché era già successo. Perché mai avrebbero dovuto farlo una seconda volta?

–Non si sta niente male qui. Ho visto anche tanti ragazzi della tua età che girano per la zona in cui abitiamo, troveresti facilmente degli amici.

"Amici".

I suoi migliori amici. Changbin, Chan, Jeongin. Erano alcune delle persone più importanti per lui. Era passato così tanto tempo da quando si erano conosciuti. Avevano cambiato la sua vita radicalmente, quando era ancora un adolescente che odiava la vita e che non capiva quale fosse il senso di tutto ciò che succedeva intorno a lui.

–Potresti anche trovarti una ragazza. Non è mai troppo presto per fare dei piani per il futuro.

Ah, certo. Suo padre era completamente ignaro del fatto che fosse gay. Non sapeva come. Non sapeva perché non si fosse mai fatto domande quando continuava a portare i suoi ex ragazzi nella sua stanza, quando ancora viveva con i suoi genitori. Non era palese?

Jisung fece un sorriso al pensiero, ma era un sorriso più doloroso che un ghigno.

–Pensaci. Ti richiamerò tra qualche giorno.

La chiamata fu chiusa. Jisung abbassò il braccio, appoggiando il cellulare di nuovo sul tavolo e chiedendosi cosa fosse appena successo, cosa dovesse fare in quel momento.

Si sedette sul letto, sospirando. Quel legame, quel legame che non avrebbe voluto perdere. Non perché fosse qualcosa a cui tenesse chissà quanto, ma più perché aveva paura. Gli sembrava strano, vivere completamente da solo ed essere abbandonato dai suoi genitori così. Non poter chiedere aiuto a nessuno in caso avesse avuto bisogno. Perché anche se i suoi amici avrebbero potuto aiutarlo, se gli fosse successo qualcosa di tanto difficile, non avrebbe potuto chiedere più di tanto a loro.

Probabilmente, a quel punto, se scegliesse di dire di no ai suoi genitori, li perderebbe per sempre. Per quanti argomenti ci fossero che potessero convincerlo a rimanere, il fatto che potesse vivere tranquillamente da solo non era qualcosa di così certo da poterlo tranquillizzare.

Non voglio lasciarlo.

C'era un pensiero che lo tormentava più di qualunque altro. Era ormai diventata una persona essenziale per lui. Lo faceva sentire bene, lo rendeva felice. E sapeva che sarebbe potuto fuggire in fretta, trovarsi qualcun altro, far finta che nulla fosse successo. Sapeva che sarebbe riuscito a superare anche quella relazione se ci avesse provato. Ma non voleva farlo.

Minho non era qualcuno che poteva lasciare così facilmente. Eppure, non sapeva proprio cosa fare. Cosa sarebbe successo se i suoi genitori avrebbero chiuso tutti i contatti con lui? Pensava fosse già così, ma il fatto che suo padre lo avesse chiamato quel giorno aveva cambiato le cose. Non riusciva a concentrarsi sul presente, o sul passato, su quello che aveva vissuto gli scorsi giorni. No. Pensava solo al futuro e ai "e se.." che gli venivano in mente.

–Non so cosa fare.– mormorò Jisung, lasciandosi ricadere sul letto e sospirando di nuovo.

Il suo braccio non tremava più, il suo cuore batteva a una normale velocità, ma nella sua testa c'era più confusione di prima.

hypnotic. | minsungWhere stories live. Discover now