VI.

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L'aspetto estetico del Geenna non era diverso da ciò che ci si poteva aspettare. O almeno, non lo era per noi, che conoscevamo molto bene il significato di quella parola.

La Geènna è una valletta esistente, scavata dal torrente Hinnom, sul lato meridionale del monte Sion, sul quale la città di Gerusalemme venne fondata. Nell'Antico Testamento fu rappresentata come una discarica di immondizie, dove bruciava un fuoco continuo. Nel Nuovo Testamento, per similitudine, la Geenna passò a rappresentare l'inferno, un luogo di punizione, dove il fuoco bruciava i peccatori. Di lì, secondo la concezione cristiana, essa divenne il luogo di pena per le anime dei peccatori, un ulteriore simbolo dell'inferno. Un lago di fuoco.

Lo stile gotico dell'immenso castello, la nebbia attorno a quel luogo pieno di alberi alti, il verso dei corvi e il freddo pungente non facevano altro che confermare l'inferno che quel posto era. Un luogo lontano, dove nessuno ti avrebbe sentito. Un cancello prorompente ti aspettava, con il nome in metallo che incuteva già un lieve timore, e una volta aperto la città alle tue spalle sembrava quasi sparire, inghiottita dal mistero di quel luogo. Dove si estendeva un solo lungo sentiero delineato da enormi pini, il cui compito era mostrarti la giusta via per arrivare a ciò che stavi cercando.

Non avevo paura, ma un forte senso di angoscia mi agitava le viscere. Quasi come se un lenzuolo bagnato mi si fosse posato addosso e l'umidità adesso mi stesse mangiando le ossa pezzo dopo pezzo. E da quello che sapevamo su quel luogo, la paura era più che giustificata.

Il signor Cox, con il suo passo elegante e deciso, ci invitò a seguirlo all'interno dell'orfanotrofio, proprio quando una donna grassoccia e poco curata, dallo sguardo cattivo e i muscoli rigidi, aprì l'imponente portone di metallo scuro. Quando varcai la soglia insieme agli altri, spostai lo sguardo su Erazm. Lui mi stava già osservando.

Potevo capire facilmente dal suo sguardo quanto anche per lui fosse difficile. Una volta entrati non saremmo più usciti, se non con Nezha sana e salva al nostro fianco. E, per la prima volta, mi ritrovai a pregare Dio che stavolta ne uscissimo tutti com'eravamo entrati.

Seguimmo il Signor Cox fino ad una stanza, che immaginai fosse il suo ufficio, all'ultimo piano. A parte quella, l'unica altra camera era palesemente chiusa a chiave, con un avviso attaccato sopra: "accesso consentito solo al personale autorizzato". Probabilmente era un magazzino ed evitai di chiedermi cosa potesse esserci al suo interno, perché tanto la risposta non mi sarebbe piaciuta.

Si chiuse la porta dell'ufficio alle spalle e ci dedicò un'occhiata priva di emozioni. «Qui, come potete ben vedere, non siamo all'orfanotrofio di Denver. Questo significa che le regole che conoscevate, quelle a cui eravate abituati, dovrete cancellarle dalla vostra mente e riscriverle. Al Geenna le cose si fanno in modo diverso e si fanno al meglio o non si fanno».

Si voltò, togliendosi l'elegante giacca invernale per posarla sulla sedia, e indicò un quadro alle sue spalle. Non c'era neanche bisogno di una vista ottimale come la nostra per leggere ciò che ci fosse scritto, visti i caratteri grandi e il titolo in rosso. Voltò nuovamente la testa verso di noi. «Sareste così gentili da leggere ad alta voce queste regole? Erazm, comincia tu».

Il mio lupo alzò la testa, fingendosi intimorito dalla voce autoritaria del Signor Cox. La recitazione, nei nostri piani, era sempre tutto. «È severamente vietato alzare la voce. È vietato toccare le persone dell'altro sesso. È obbligatorio rispettare il turno in cucina per preparare il cibo della mensa». Erano i ragazzi a cucinare e non un adulto?

TecumWhere stories live. Discover now